Dopo oltre 228 ore dal sisma di magnitudo 7,8 che ha colpito il sud-est della Turchia e il nord della Siria persone e animali continuano ed essere estratti vivi dalle macerie. È impossibile anche per gli operatori internazionali sul campo fare un bilancio delle vittime e dei dispersi. Usare i numeri per definire i contorni di tragedia di simile entità può suonare rassicurante per chi osserva da una prospettiva remota come la nostra: per quanto il numero possa essere spaventoso ci aiuta a riporta nell'ambito del finito qualcosa che invece non lo è affatto.
Delle città e degli insediamenti umani nelle zone colpite non restano che gusci vuoti. Quello che è andato distrutto nella notte fra il 5 e il 6 febbraio 2023 non è solo la vita dei singoli, ma l'esistenza stessa delle comunità che le persone andavano a comporre. Un bilancio ben più triste, e non quantificabile in cifre, come ha rilevato il direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità Tedros Ghebreyesus, il quale ha dichiarato di aver visto la «distruzione di intere comunità».
La ricostruzione dopo il disastro, in tal senso, non può prescindere da un ristabilimento dei valori di cui quelle comunità erano portatrici. Cercare i dispersi, restituire i corpi delle vittime ai loro cari, sono le prime attività che hanno impegnato le forze di Protezione Civile e i Vigili del Fuoco, come aveva raccontato la cinofila Viviana Codazza. Il giorno dopo il sisma un contingente di cani da ricerca e operatori era atterrato ad Adana per dirigersi nelle zone più colpite.
Ma a dieci giorni dal sisma c'è anche dell'altro che bisogna fare per garantire la vita, e non la mera sopravvivenza di chi ha perso tutto. A questo scopo numerose ong di tutto il mondo sono intervenute sul campo per portare il loro know-how, come racconta a Kodami Valentina Bagnato, responsabile relazioni internazionali dell'Oipa che in queste ore sta coordinando l'arrivo dei soccorsi per gli animali in Siria e Turchia: «Ci sono ancora tante persone sotto le macerie, e in queste ore persone e cani da soccorso lavorano insieme. Poi ci sono associazioni come la nostra che si occupano di portare sollievo alle comunità facendo ciò in cui siamo specializzate. Non dimentichiamo che anche davanti all'orrore siamo tutti esseri viventi e senzienti, ed è giusto portare soccorso a tutti, persone e animali».
Attraverso una fitta rete di contatti in Siria, l'associazione è riuscita a consegnare 450 chili di cibo nella provincia della capitale Damasco, e a distribuire aiuti destinati sia agli animali liberi che alle famiglie con animali che si trovano nelle zone terremotate.
Ma non bisogna dimenticare che in Siria la situazione era molto delicata anche dal punto di vista geopolitico, da molto prima del sisma. Il paese è infatti spaccato, nel silenzio dei media occidentali, dalla guerra civile che vede contrapposti i ribelli curdi, stanziati soprattutto nella zona del Rojava, nel nord-est della Siria, e il governo di Assad. Per questo anche enti accreditati a livello internazionale, come le Nazioni Unite, stanno incontrando difficoltà a fare arrivare a destinazione gli aiuti umanitari.
L'Oipa, invece, è riuscita a fare giungere i soccorsi, come conferma Bagnato: «È stato fondamentale in questa operazione il supporto di un ragazzo siriano che vuole rimanere anonimo per ragioni politiche e religiose. Lui non viveva più in Siria ma in questi giorni si trova lì per dare una mano alla sua famiglia. È grazie a lui e agli altri locali che siamo riusciti a consegnare il cibo in Siria, quella che inizialmente ci sembrava la zona più complessa». Una nuova consegna è prevista già nei prossimi giorni nella zona di Aleppo.
«La situazione umana è molto difficile, e di conseguenza è molto difficile anche per gli animali – commenta Bagnato – Anche prima del terremoto c'erano pochi veterinari, e i volontari animalisti hanno poche risorse per poter contribuire come vorrebbero. Questo vale sia per gli animali di famiglia, ma anche per i numerosissimi cani vaganti e gatti liberi, dato che non esiste una cultura della sterilizzazione». Sterilizzare i randagi e reimmetteli sul territorio è ormai una prassi sdoganata in Italia, nonostante anche qui siano presenti ostacoli e farraginosità nell'attuazione pratica.
In Turchia, per fare fronte al sovranumero il governo di Recep Tayyip Erdoğan a dicembre 2021 aveva incaricato i Comuni di rimuovere dalle strade gli animali randagi perché «rappresentano una minaccia per la sicurezza pubblica» per trasferirli in massa nei canili. L'operazione di cattura dei cani liberi in Turchia è stata denunciata anche nel film "Stray" di Elizabeth Lo che ha contribuito a smuovere la coscienza collettiva.
Una situazione che l'Oipa conosce bene avendo una delegazione a Istanbul: «Dopo l'annuncio di Erdoğan ci fu una grande protesta di volontari e associazioni animaliste. Ad oggi non ci risultano uccisioni di massa, tuttavia anche qui non esiste una cultura della sterilizzazione, l'unica soluzione possibile a medio-lungo tempo per contenere il numero di randagi, ed è anche l'unica soluzione eticamente accettabile. L'uccisione non è mai una soluzione, con qualsiasi mezzo si attui».
La difficoltà per chi si occupa di animali sta anche nella cultura della popolazione locale, a maggioranza musulmana. Alcune autorità religiose, infatti, considerano ancora il cane un animale impuro. Ciò non significa che in Turchia, o in altri paesi a maggioranza musulmana, non ci sia attenzione verso il benessere degli animali, sottolinea Bagnato: «Nella capitale ci sono postazioni per randagi con cibo e acqua, ma già spostandosi in periferia i randagi vengono lasciati a loro stessi anche se censiti dal Comune. Il lavoro è doppio, ed è tutto sulle spalle dei volontari, che comunque ci sono».
Tra poco i convogli di aiuti dell'Oipa arriveranno anche a Yarbasi, Adana, Elbistan, Adiyaman e Diyarbakir. Un sostegno concreto sia per i cani e gatti liberi, ma anche per le famiglie che si sono messe in salvo con i loro compagni animali. Come osservato già per l'Ucraina, le persone spesso scelgono di non muoversi, o di mettere se stesse in secondo piano se non possono assicurarsi la salute dei loro compagni animali.
Lo dimostrano le immagini che ritraggono Kerem Çetin, uno studente universitario intrappolato nel crollo della sua abitazione. Al termine delle operazioni per liberarlo, il giovane ha chiesto alle squadre di soccorso di dare la priorità al suo gatto Çilek.
«Ci sono tante persone che hanno amore per gli animali ed è giusto pensare anche a loro e a questo aspetto delle loro vite», conclude Bagnato. Forse, ancora di più quando ci troviamo a fronteggiare a situazioni dove le persone hanno perso tutto, è necessario lavorare preservare i legami rimasti, perché è sui legami che si ricostruiscono le comunità.