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5 Dicembre 2023
14:42

Aggressione a Paola Samaritani della Sfattoria: «Anche l’uccisione di animali è violenza patriarcale»

Ieri Paola Samaritani, proprietaria della Sfattoria degli Ultimi, il rifugio alle porte di Roma, è stata aggredita da un uomo mentre cercava di salvare un cinghiale. Raggiunta da Kodami racconta cosa è successo in quei momenti e anche perché violenza sulle donne e sugli animali spesso vanno di pari passo.

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Intervista a Paola Samaritani
Proprietaria della Sfattoria degli Ultimi
Immagine

«Sono stata colpita con un bastone e picchiata con furia cieca. Non si può legalizzare la violenza sugli animali perché porta a questo», sono le prime parole rilasciate a Kodami da Paola Samaritani, proprietaria della Sfattoria degli Ultimi, dopo l'aggressione denunciata nel tardo pomeriggio di ieri sera non lontano dal rifugio alle porte di Roma.

Samaritani risponde dal letto dell'ospedale romano nel quale è stata ricoverata dopo l'arrivo dei soccorsi: «Ho subito sporto denuncia. Ora però temo ritorsioni sia verso gli animali che verso di noi, dato che questa persona vive vicino alla Sfattoria. Mi sono rivolta alle Forze dell'Ordine ma non credo nella Giustizia per come è oggi».

Quel pomeriggio, l'attivista si era recata su una strada non lontana dal rifugio dopo aver ricevuto una segnalazione, e in un campo adiacente alla via aveva visto un uomo colpire un cinghiale con un lungo bastone. «Lo voleva ammazzare a bastonate. Aveva con sé anche dei colteli che fuoriuscivano dal borsello. Io gli ho intimato di fermarsi e gli ho detto che lo avrei denunciato se lo avesse ucciso. Lui a quel punto non ci ha visto più: mi ha dato una bastonata e picchiata con furia. Colpiva lì dove riusciva, mi sembrava di avere cento mani addosso. Ma quello che gli interessava erano le riprese che avevo fatto con il cellulare, ma lui è riuscito a prenderlo. Quando lo ha avuto tra le mani lo ha schiacciato e piegato come se fosse un pezzo di carta».

È il racconto di una violenza indicibile e ingiustificabile che secondo Samaritani rappresenta un aspetto della nostra società di cui ultimamente si parla molto, ma senza scendere in profondità: «La mia battaglia per i diritti degli altri animali non è in favore di qualche specie in particolare, ma è diretta contro la violenza patriarcale. Negli anni mi sono imposta di stare sempre dalla parte del più fragile. Benché anche io stessa lo sia». Samaritani ha scelto di dare voce agli ultimi, diventando un'attivista per i diritti degli animali, e lo ha fatto per rispondere all'esigenza di difendere altri esseri viventi che, come lei, erano vittime di una ferocia sistemica.

«So cosa significa subire una violenza perché l'ho vissuta sulla mia pelle quando avevo solo 20 anni, denunciando il mio ex fidanzato violento. Per me iniziò all'epoca un calvario fatto di aule di Tribunale dove pur non essendo l'imputata venivo trattata come tale – ricorda Samaritani – Ora che di anni ne ho 56 inorridisco nel vedere come l'uso della violenza sia sempre più normalizzata proprio da parte dello Stato». Il riferimento di Samaritani è alle recenti riforme legislative che hanno esteso i confini in cui è possibile esercitare il controllo venatorio, si tratta di vere e proprie deregulation subito ribattezzate dagli attivisti come "Far West" o "caccia selvaggia". Ma l'occhio si Samaritani è anche ai fatti di Sairano, il santuario per animali sfruttati negli allevamenti in cui gli agenti si sono fatte strada a forza di manganellate contro gli attivisti in presidio.

All'interno di un sistema che giustifica certe forme di violenza, perché ritenute giuste o quantomeno necessarie, l'attivista vede un riflesso della propria storia personale, tragicamente simile a quella di moltissime donne: «Nelle aule di Tribunale mi sono dovuta sentir dire di tutto, come a voler giustificare il comportamento di chi mi feriva, e mi sono resa conto che accade continuamente nei confronti di tutti gli elementi percepiti come più deboli».

«Pensiamo che chi uccide un animale non possa fare altrettanto con una persona, con una donna. Ma quell'uomo ha indirizzato verso di me lo stesso bastone che stava usando contro il cinghiale – aggiunge – Quello che ho subìto ha riaperto una ferita profonda. Ho visto, ho sentito sulla mia pelle come la violenza sugli animali sia un aspetto della violenza interiorizzata della nostra società».

«Abbiamo fatto tante battaglie, anche mediatiche e istituzionali, con alla fine una sentenza che ha fatto la storia per il rispetto dei diritti degli animali, eppure oggi siamo arrivati a questo», è l'amara considerazione dell'attivista. La Sfattoria non è un rifugio qualsiasi: l'anno scorso ha monopolizzato per mesi l'attenzione dei media portato avanti una battaglia, poi vinta, per impedire l'abbattimento indiscriminato di suini e cinghiali presenti nella struttura. Con l'espandersi dell'epidemia di peste suina africana, infatti, il rifugio era entrato nel perimetro della "zona rossa", entro il quale tutti i suini dovevano essere abbattuti, anche se negativi al virus.

La battaglia condotta strenuamente da Samaritani è arrivata al Tar del Lazio nell'ottobre 202, quando i giudici hanno detto no alle uccisioni degli animali, creando un importante precedente giurisprudenziale. Da quel momento, seppur con meno clamore, le attività della Sfattoria sono proseguite, e proseguiranno nonostante la paura, e la violenza strisciante, fa sapere: «Lo ripeto: la mia non è una battaglia per i cinghiali, ma contro la violenza patriarcale».

Giornalista per formazione e attivista per indole. Lavoro da sempre nella comunicazione digitale con incursioni nel mondo della carta stampata, dove mi sono occupata regolarmente di salute ambientale e innovazione. Leggo molto, possibilmente all’aria aperta, e appena posso mi cimento in percorsi di trekking nella natura. Nella filosofia di Kodami ho ritrovato i miei valori e un approccio consapevole ma agile ai problemi del mondo.
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