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19 Agosto 2021
11:01

Afghanistan: il soldato inglese che porta in salvo i randagi e l’aiuto degli italiani

Pen Farthing, ex Royal Marine del Regno Unito, dopo il rientro dall'Afghanistan, ha fondato la sua Nowzad, dal nome del cucciolo salvato dai combattimenti clandestini. Ora lancia una sfida: raccogliere 200 mila sterline per affittare un cargo e farli trasferire dal paese invaso dai Talebani. Ma la sua paura sono anche le possibili ritorsione sulle donne che hanno lavorato nel rifugio di Kabul come veterinarie. Cave Canem intanto manda soldi dall'Italia.

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Giornalista
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Il sondato inglese Per Farthing con uno dei cani del rifugio (credits@Nowzad)

A preoccuparlo di più è la sorte dei suoi 186 cani e gatti e delle veterinarie che li accudiscono nel rifugio aperto a Kabul una quindicina di anni fa. Per questo Pen Farthing, ex Royal Marine del Regno Unito che dopo il rientro dalla missione in Afghanistan ha fondato l'associazione Nowzad per salvare i randagi locali, non ha esitato a metterci di nuovo la faccia e a scendere subito in campo  dopo la riconquista del Paese da parte dei Talebani. Farthing ha lanciato Operation Ark e l’obiettivo è doppio: raccogliere 200 mila sterline per affittare un cargo e trasferire in Europa i cani e gatti evacuati dal rifugio e bombardare, con messaggi e tweet, le istituzioni che in questi giorni stanno prendendo decisioni fondamentali per il futuro di tutti quelli che rimangono in Afghanistan o che proprio dall’Afghanistan vogliono fuggire.

«I Talebani hanno dimostrato di non avere a cuore gli esseri umani, figuriamoci il benessere animale – ha scritto sulla sua pagina Facebook, aggiungendo – il problema è che nel nostro rifugio le donne lavorano. Io sono un cittadino britannico e posso tornare a casa, ma il mio staff femminile non ha assolutamente nessun posto dove andare. È devastante pensarci. Sono terrorizzato per loro».

Il rifugio di Kabul

Il rifugio nella capitale afghana si occupa di 140 cani, 60 gatti, 12 asini, due cavalli, una capra e un toro. Lo staff che ci lavora è composto da 24 operatori, tra questi moltissime sono donne che svolgono compiti importanti come addette agli animali e come veterinarie. Sono loro, dopo l’arrivo dei Talebani, ad essere maggiormente in pericolo per aver collaborato con americani e alleati e per aver esercitato un lavoro “pubblico”, a contatto indifferentemente con uomini e donne. «È stato estremamente difficile mantenere gli aggiornamenti in arrivo – spiegano dalla sede londinese della Nowzad – Le comunicazioni sono difficili e la situazione a Kabul è in continua evoluzione. Il telefono è presidiato insieme ai messaggi di Facebook». Tutti però sono certi che Pen non è disponibile a mollare la presa: «Non lascerà l'Afghanistan senza la sua squadra o i suoi 98 cani e 88 gatti. È facile sentirsi impotenti in una situazione travolgente come questa, ma c'è sempre qualcosa che puoi fare e in questo momento potrebbe essere semplicemente twittare o mandare un messaggio. Nowzad può essere un piccolo gruppo di persone, ma ci sono vite che possono essere salvate. 71 vite umane e 186 vite animali».

L’arrivo in Afghanistan. L’incontro con il cane da combattimento e il rifugio per gli asini

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Una delle donne veterinarie impiegate nel rifugio fondato a Kabul (credits@nowxad)

L’ex Royal Marine della Corona britannica arrivò con l’esercito inglese nel 2006. Il militare ci mise poco a capire che oltre agli umani, anche gli animali erano abbandonati a se stessi. Il randagismo era dilagante e anche la violenza su cani e gatti randagi. Fu proprio intervenendo per interrompere un combattimento clandestino tra cani nella provincia di Helmand che conobbe un randagio sfruttato per i combattimenti. Non se ne separò più e lo chiamò Nowzad, portandolo con se al rientro in patria. Ma l’interesse per quegli animali sfortunati non si interruppe con il ritorno e lo portò a fondare un rifugio a Kabul e ad adoperarsi per riunire oltre 1600 soldati con i cani e i gatti che avevano salvato e con cui avevano stretto un legame affettivo tale da indurli a non volersene separare neanche dopo il rientro in patria. Donne e uomini che, durante la permanenza difficile in quei territori dove erano stati inviati nel tentativo di pacificare la situazione, si erano legati ai tanti randagi incontrati per le strade polverose e assolate dell’Afghanistan. Dopo i cani è stata la volta degli asini: anche per loro, sfruttati spietatamente come da tradizione per i lavori più pesanti, è nato il primo santuario degli asini in Afghanistan.

Tanti gli abbandoni fra le strade di Kabul

Il randagismo diffuso, la mancanza di sterilizzazione, i lunghi decenni di guerre ininterrotte non hanno creato in Afghanistan un clima positivo per gli animali. E in questi giorni, nel fuggi fuggi generale, spesso sono proprio questi ultimi a subire l’ulteriore dolore dell’abbandono. Sono tanti infatti gli afghani, soprattutto quelli che riescono a scappare dal paese appena proclamato nuovo Emirato Islamico, costretti ad abbandonarli. «Ci stanno arrivando da altri rifugi che stanno chiudendo, da stranieri, da afgani, da persone che amano i loro animali e che hanno dovuto lasciarli – raccontano dal Kabul Small Animal Rescue una clinica veterinaria e associazione che supporta le adozioni di randagi dall’estero.Abbiamo aiutato a recuperare cani e gatti lasciati indietro durante l'evacuazione frettolosa da case in tutta la città. Spesso arrivano spaventati, sporchi e affamati, ma anche in questo momento più difficile, il nostro staff sta facendo del suo meglio per dargli un ambiente dove si sentono sicuri e amati».

Anche l’Italia si mobilita

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Il soldato inglese Pen Farthing (credits:@Nowzad)

«Abbiamo risposto all'appello degli attivisti dell'associazione Nowzad che si occupa di garantire il benessere degli animali in Afghanistan e questa mattina, in questo momento di enorme difficoltà,  abbiamo deciso di dare il nostro piccolo contributo, effettuando una prima donazione che speriamo possa essere loro d’aiuto» è il messaggio dell’Associazione Cave Canem che opera nel recupero di cani maltrattati e nel loro reimpiego in operazioni socialmente utili. Mentre l’Enpa ricorda la storia a lieto fine di Bruno e Chiara, i due pastori del Caucaso che da Bala Murghab furono portati in Italia nel 2012 grazie all'associazione italiana e a Nowzad. Abituati a vivere sin da cuccioli con i militari italiani di stanza in Afghanistan, avevano rischiato di rimanere “orfani” dopo l’abbandono del contingente. Il loro salvataggio si deve a Gianluca Missi, un militare della base italiana che ha contattato ENPA prima della sua ripartenza chiedendo di fare in modo che i due potessero essere espatriati in Italia. «Ad attivarsi fu proprio la presidente dell’Enpa Carla Rocchi, che con la collaborazione del Ministero della Difesa è riuscita a far trasferire i cani prima a Kabul, ospitati dall’associazione Nowzad che ha sorvegliato la loro quarantena obbligatoria e poi li ha successivamente accompagnati in Italia, dove sono stati felicemente adottati».

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Maria Grazia Filippi
Giornalista
Scrivo da sempre, ma scrivere di animali e del loro mondo è la cosa più bella. Sono laureata in lettere, giornalista professionista e fondatrice del progetto La scimmia Viaggiante dedicato a tutti gli animali che vogliamo incontrare e conoscere nei luoghi dove vivono, liberi.
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