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8 Dicembre 2021
12:00

Adozione responsabile: è giunto il tempo di riformare la legge 281 del 1991

I diritti dei nostri compagni di vita sono stabiliti, nel nostro paese, soltanto in maniera negativa. Una corretta convivenza è individuata dallo Stato soltanto nel loro diritto di non essere abbandonati e in quello di non essere maltrattati. In nessun luogo viene mai menzionata quella che dovrebbe essere una parola fondamentale: adozione. Ed è proprio da questa parola che dovrebbe partire una legge che tuteli appieno i loro diritti.

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«Lo stato promuove e disciplina la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l’ambiente».

Questo è l’incipit della più importante legge nel nostro paese in materia di animali d’affezione, ovvero la 281 del 1991, che riguarda quegli animali che vivono nelle nostre famiglie, il loro trattamento e i loro diritti. Sembrerebbe un ottimo inizio e l’auspicio sarebbe poi di veder approfondito chiaramente in che modo la tutela, che viene qui enunciata, è poi promossa e disciplinata. Quel che ci si aspetterebbe è una dettagliata disamina di cosa il legislatore intende quando afferma che il fine è favorire la corretta convivenza tra uomo e animale.

E tuttavia le speranze si affievoliscono andando a leggere il prosieguo della legge. Ciò che infatti appare chiaramente è che, secondo la 281, per “corretta convivenza” non si intenda più che quanto enunciato, ovvero: evitare abbandono, maltrattamenti e crudeltà. Insomma un po’ come dire che per essere dei buoni genitori è sufficiente non picchiare i propri figli e non abbandonarli per strada, senza in altro modo specificare quali sono i loro diritti e quali sarebbero i doveri di un buon genitore.

Quali sono i doveri di Regioni e Comuni

Tutto ciò si manifesta chiaramente negli articoli successivi della legge dove vengono specificati i ruoli di Regioni e Comuni e dove si parla delle sanzioni da comminare ai trasgressori. La particolarità infatti della 281, denominata “legge quadro”, è quella di dettare dei principi generali e di delegare a successive leggi attuative, regionali o comunali, la regolamentazione pratica dei vari punti. E tuttavia tali attuative seguono, spesso in maniera pedissequa, ciò che viene loro prescritto, senza sviluppare in nessun modo ciò che non è esplicitamente menzionato.

E così, alla voce “Competenze dei Comuni”, l’unica cosa di cui si fa menzione è che il loro compito è quello di dotarsi di “rifugi per cani” e di attenersi alla prescrizione di non sopprimere o destinare alla sperimentazione i propri ospiti. Per quanto riguarda invece le “Competenze delle Regioni” viene loro prescritto di emanare una legge regionale in cui vengono disciplinati i seguenti punti: istituire un’anagrafe canina, stabilire i criteri per la costruzione o il risanamento dei canili comunali (garantendo al loro interno un generico rispetto di buone condizioni di vita e delle norme igienico-sanitarie).

Il quadro si completa con la voce “sanzioni” (rivolte ai trasgressori della legge): anche in questo caso ciò che si può osservare è che esse riguardano soltanto l’abbandono, la mancata iscrizione all’anagrafe canina, la sperimentazione animale e il maltrattamento.

Non essere abbandonati o maltrattati, questi gli unici diritti dei nostri animali

Insomma quel che emerge è il fatto che i diritti dei nostri compagni di vita sono stabiliti, nel nostro paese, soltanto in maniera negativa. In altre parole una corretta convivenza è individuata dallo Stato soltanto nel loro diritto di non essere abbandonati e in quello di non essere maltrattati. E tuttavia questa dovrebbe essere una base da cui partire e non l’unico requisito richiesto pur se, d’altra parte, bisogna riconoscere che la legge 281 ha sancito un punto di svolta fondamentale rispetto alla legislazione precedente. Sanciva infatti l’uscita da un quadro in cui maltrattamenti ed uccisioni non erano neanche considerati reati e, addirittura, i cani che giungevano nei canili venivano per legge soppressi dopo alcuni giorni anche se sani oppure giovani.

Ma oggi, anche alla luce delle conoscenze accumulate negli ultimi 30 anni, nonché di una maggiore sensibilità al tema del benessere animale sta ormai maturando l’idea che i diritti animali dovrebbero essere stabiliti in maniera positiva.

In altre parole anziché partire dalla negazione di quelli che sono i diritti fondamentali per ogni essere vivente (e specie di quelli che dipendono completamente da noi per la loro sopravvivenza, ossia quelli che son definiti animali domestici) dovrebbe essere più opportuno partire dai loro bisogni.

Cosa si intende per benessere animale: il Brambell Report

Una buona base di partenza potrebbe senz’altro essere quella che, già a partire dal 1965, fu definita dal celebre Brambell Report, attraverso la formulazione della teoria delle 5 libertà che sono ancora oggi alla base del concetto di benessere animale. Queste sono:

  1. libertà dalla fame e dalla sete;
  2. libertà di avere un ambiente fisico adeguato;
  3. libertà dal dolore, dalle ferite e dalle malattie;
  4. libertà di manifestare le caratteristiche comportamentali tipiche della specie;
  5. libertà dalla paura e dal disagio.

L’importanza del Brambell Report fu che per la prima volta si metteva in evidenza, nei punti 4 e 5, che per parlare di benessere animale non si può non fare riferimento a quelli che sono i bisogni psicologici: quello di non essere sottoposti a disagio e paura e quello di potersi esprimere in maniera compatibile con le proprie caratteristiche di specie.

Solo per fare un paio di esempi tra i bisogni fondamentali dei nostri cani vi è quello di essere inseriti in un gruppo sociale (che sia di umani o di propri simili) e di poter istaurare relazioni stabili e continuative; oppure vi è quello di fare diverse esperienze in modo da conoscere il mondo e imparare i giusti comportamenti per potervisi adattare al meglio.

In mancanza di tali condizioni i nostri amici potrebbero trovarsi a vivere in situazioni di disagio dovute alla mancanza di relazioni oppure di paura e insicurezza rispetto all’ambiente o alle proprie capacità di gestire le situazioni.

Basterebbe poco per cambiare il senso della legge

Ma come fare per garantire tutto ciò? Analizzando la legge italiana c’è un fatto che non può mancare di sorprendere. In nessun luogo viene mai menzionata quella che dovrebbe essere una parola fondamentale, ossia la parola adozione. Addirittura quando si parla dei cani detenuti in canile si fa ricorso alla locuzione “possono essere ceduti” anziché adottati.

Forse è proprio dalla parola adozione che dovrebbe partire una legge che tuteli appieno i diritti dei nostri amici. E forse sarebbe il caso di aggiungere a questa parola il termine responsabile per definire il tipo di adozione cui dovrebbero avere diritto.

A ben pensarci basterebbe aggiungere soltanto due parole nell’incipit della 281 per darle tutto un altro senso. Se infatti questa cominciasse col dire che “lo stato promuove l’adozione responsabile e la tutela degli animali d’affezione” questo cambierebbe di molto il ruolo delle istituzioni nel promuovere una reale presa di coscienza dei cittadini che si apprestano a compiere questo passo. Se poi per adozione responsabile si definisse quella che quanto meno rispetta le 5 libertà più sopra menzionate forse gli strumenti aumenterebbero per tutelare il benessere e sanzionare situazioni che oggi purtroppo difficilmente trovano risposte adeguate da parte delle istituzioni.

Ed infatti quelle che sono le due più grandi problematiche che oggi si riscontrano nel trattamento dei nostri amici sono sempre e indiscutibilmente legate ad adozioni fatte in maniera superficiale o disinformata. Esse sono da un lato la gestione sorretta che può essere sanzionata solo ed esclusivamente quando vi sono dei palesi maltrattamenti fisici (quando non addirittura la morte), mentre molto difficilmente si riesce ad intervenire in situazioni anche evidenti di deprivazione, sebbene portatrici di gravi stati di malessere psicologico. Dall’altro lato vi è poi il problema degli abbandoni e delle rinunce di proprietà.

Chiunque abbia lavorato in canile sa benissimo che se le adozioni fossero fatte in maniera responsabile gli ingressi in queste strutture potrebbero essere ridotti in maniera esponenziale. E dato che oggi, a causa di adozioni non responsabili non solo lo Stato, ma anche le organizzazioni protezionistiche si trovano a spendere decine o centinaia di milioni di euro all’anno, intervenire in questo senso potrebbe nel tempo liberare risorse utili per aiutare i cittadini che realmente si trovano in situazioni di difficoltà, o magari istituire una base di una sanità veterinaria pubblica che cominci realmente a tutelare anche il loro diritto alla salute.

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Francesco Cerquetti
Esperto in etologia applicata e benessere animale
Laureato in Filosofia a partire dal 2005 ho cominciato ad appassionarmi di cinofilia approcciando il mondo dei canili. Ho conseguito il Master in Etologia Applicata e Benessere animale, il titolo di Educatore Cinofilo e negli IAA.
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