Adottare un un cane adulto fa parte dei “buoni propositi” di Kodami. È un tema complesso, che impatta molto sulla cultura popolare del nostro paese e apre a numerose riflessioni sul nostro modo di intendere la vita e la relazione con il cane.
Abbiamo quindi deciso, questa volta e altre che seguiranno, di raccontare storie di vita vissuta e interpellare alcune persone per sentire la loro opinione e farci descrivere la loro esperienza sia da un punto di vista umano che professionale.
Siamo entrati così, con il loro permesso ovviamente, nell’intimità della loro relazione con il cane, lasciando che il flusso delle parole e dei ricordi facesse emergere nuove riflessioni. Per iniziare ci è sembrato utile aprirci noi per primi, ed ecco che chi scrive e chi ha deciso di raccontarsi sono proprio due componenti del comitato scientifico di Kodami: l'istruttore cinofilo Luca Spennacchio ed Elena Garoni, medico veterinario esperto in comportamento animale.
Nessuno come lei
«Willy era morta da quasi un anno. Era il 2012, e io non riuscivo ancora a lasciarla andare. La mia relazione con lei era stata talmente profonda che non accettavo quella realtà. I miei figli allora avevano 5 e 7 anni, erano nati e cresciuti con lei accanto. Per loro non esisteva un mondo senza Willy…». Inizia così il racconto di Elena Garoni. «Non intendevo adottare un altro cane. Umanamente non volevo “rimpiazzarla”, sentivo che fosse profondamente ingiusto. So bene che è un pensiero irrazionale, ma per me era così allora. Non ero pronta».
È esperienza di molte persone il ritrovarsi ad affrontare la perdita e il vuoto lasciato dall’amato compagno canino. Si vorrebbero riportare indietro le lancette, anche solo per un minuto. «In quel periodo però mi venivano fatte molte pressioni. Sia da parte dei miei bambini, ai quali mancava moltissimo Willy e il vivere con un cane, che da parte di colleghi e amici».
Elena, proprio per questioni professionali, è esposta quotidianamente ai cani. Quando si trova a fare consulenze con famiglie che hanno problemi con i loro compagni a quattro zampe e quando presta la sua opera presso i canili. Soprattutto lì, per lei era difficile non pensarci.
«Mi hanno presa un po’ per sfinimento. Una collega, istruttrice cinofila con la quale collaboro da anni, continuava a mostrarmi fotografie di cani che cercavano famiglia», racconta Elena. «Alla fine mi fu mostrata una fotografia. L’ennesima. Ma questo cane, una giovane femmina di un anno e due mesi, aveva una spudorata somiglianza con la Willy. E così cedetti».
Con davanti l’immagine di quel cane sconosciuto che cercava famiglia, Elena così prende la decisione e compie il passo. Ma il senso di colpa nei confronti di Willy non l’aveva ancora lasciata. Quanto può essere subdolo il subconscio che sedimenta nella nostra anima quei legacci che ci vogliono impedire di andare avanti? Nessuno voleva soppiantare Willy, era chiaro.
Ma pesa sempre la relazione che c’è stata con il nostro cane, sebbene nel frattempo noi siamo cambiati e sappiamo di non poter più rivivere quella storia. Anche se avessimo di nuovo lo stesso cane, del resto, saremmo noi a non essere più gli stessi. Tuttavia, non vogliamo emotivamente arrenderci a questo. Forse, verrebbe da pensare, sta tutto nella nostra paura della morte, alla fin fine, o quantomeno nel nostro rapporto con essa.
Tutti hanno il proprio "cane ideale" nella testa
Nel 2012 non si erano ancora accesi apertamente i riflettori sul fenomeno delle staffette, sui cani ferali provenienti dal Sud, sulle loro caratteristiche e molto altro. Non se ne parlava proprio. Infatti Elena e la sua collega pensavano che quel cane che sarebbe entrato a far parte dalla famiglia Garoni, poi battezzato Serbia, fosse ospite di un’associazione della loro zona. Non era così.
Il cane si trovava in Abruzzo e sarebbe stato portato in Lombardia proprio con una staffetta, insieme a altri cani. Quali erano le condizioni, i paletti che c'erano per adottare Serbia? «Io avevo solo due esigenze, due parametri da rispettare – spiega Elena – che il cane non fosse anziano, perché io stessa mi sentivo ancora provata dalla perdita di Willy e pensavo anche ai miei figli che non volevo esporre ad un nuovo possibile lutto in un tempo relativamente breve».
«Ora – aggiunge la veterinaria – mi rendo benissimo conto che si trattava di una mia proiezione su di loro, indubbiamente di una mia debolezza: è un pensiero irrazionale, perché qualsiasi persona o cane può morire all’improvviso, me ne rendo ben conto. L'alta cosa importante per me era che non avesse particolari problemi nei confronti dei bambini, ossia che non fosse intollerante al contatto o che provasse addirittura paura nei confronti dei più piccoli. E questo lo pensavo considerando che viviamo in un appartamento, quindi in uno spazio relativamente ristretto, senza la possibilità di creare zone franche o di rifugio per il cane in caso di difficoltà. Partivo comunque dal presupposto che i miei figli sono cresciuti con un cane che adoravano, e avevano imparato ad essere rispettosi nei suoi confronti, sapevano bene quindi come comportarsi e cosa non fare».
Indubbiamente nella scelta di un cane è importante considerare moltissimi aspetti in funzione del proprio stile di vita, e certamente anche dei propri desideri, ma come vedremo è necessaria anche una buona dose di flessibilità. Ognuno di noi ha un suo film in testa su come vorrebbe vivere e sul tipo di relazione da instaurare con il proprio cane. Ma quanto è realistico quel "cane ideale"? Quanto ci rende ciechi alla realtà? E quanto siamo disponibili all’accettazione quando le cose si presentano diverse?
«Di fatto non sapevamo nulla di quel cane, avevamo solo visto una fotografia. Un vero e proprio “salto nel buio” e oggi posso dirlo. Ma ad ogni modo ero convinta che sarei riuscita ad affrontare qualsiasi problema, forse peccando di superbia, ma sapevo certamente una cosa: non ero sola. Oltre alla mia conoscenza in materia, la mia esperienza, e tutto il resto, ho sempre potuto contare su un nutrito gruppo di persone, di cari amici e colleghi, anche più esperti e preparati di me».
E da queste parole nasce una considerazione importante, ossia il contesto e il supporto sul quale una persona può fare affidamento quando compie una scelta. Naturalmente, ciò non riguarda solo l’adozione di un cane ma proprio in questo frangente, sapere di poter contare su una comunità di persone fidate e competenti dà un impulso cruciale verso la decisione finale.
Allargando il punto di vista, al momento di prendere una decisione importante come questa, è opportuno considerare di avere i contatti con persone che ci potrebbero sostenere in caso di bisogno: banalmente sapere quale veterinario c’è nelle vicinanze; se ci sono dog sitter da poter contattare in caso di bisogno, educatori cinofili di fiducia e via dicendo. Se si pensa a questo prima, nel momento dell’imprevisto, o comunque del bisogno, si hanno già i numeri di telefono pronti e questo può fare la differenza.
L’incontro e la fiaba
Nel frattempo, la staffetta con a bordo Serbia giunge a destinazione e lei e gli altri cani vengono portati in stallo in una struttura conosciuta da Elena Garoni. «Quando Serbia arrivò, in me c’era comunque un sentimento di rifiuto: per me erano stati gli altri a volerla, a tutti i costi, e non io. Comunque, chiedo ad un collega di venire con me per darmi il suo parere e vado a incontrarla. Dopo questo primo approccio ritorno con i miei bambini e qui è successo qualcosa che mi ha un po’ spiazzata».
Quando escono tutti quanti insieme, in passeggiata, Serbia ha un atteggiamento inaspettato, che lascia Elena un po’ di stucco. «Verifico effettivamente che non c’è proprio alcun problema nei confronti dei miei figli. Anche se devo aggiungere che, come madre, la sensazione non è stata affatto positiva quando il cane non li ha degnati di uno sguardo. Forse un po’ tutti abbiamo nella testa quella rappresentazione favolistica della “famigliola felice”, quel pezzo in cui al primo sguardo i cani si innamorano perdutamente di tutte le persone che tu ami: un po’ come nei racconti della Disney, per capirci. Irrazionalmente vogliamo che tutto accada subito, nell’immediato. Un colpo di fulmine: questo vogliamo, come nelle migliori storie romantiche».
Quel legame affettivo profondo, che poi Serbia ha decisamente costruito con la famiglia di Elena, naturalmente poi avvenne. «È un processo, e avviene, ma ci vuole tempo. Un processo di sintonizzazione tra individui, differente per ognuno. Fatto salvo il legame affettivo, che si crea con tutti i membri della famiglia, con tutto ciò che questo significa, ognuno poi si sintonizza nel rapporto con l’altro in un modo peculiare. Come succede con il gruppo di amici, con i membri della propria famiglia, anche tra genitori e figli».
«Le sintonie sono diverse e si muovono, crescendo e affievolendosi di volta in volta, a seconda delle evenienze, di quello che accade nel turbine della vita – sottolinea Elena – E tutto questo, alla fine, rappresenta la complessità delle relazioni votate al vivere bene insieme, nel cercare di mantenere gli equilibri tra tutti. Siamo individui tutti differenti. Va da sé che anche le relazioni siano peculiari, diverse e, tutto sommato imprevedibili».
Si sarebbe portati a credere che la differenza tra l’adozione di un cane adulto e di un cucciolo sia l’imprevedibilità. Ritorneremo su questo aspetto, ma è importante notare che forse è il cucciolo che ci pone in una situazione di minor prevedibilità, non l’adulto, come spesso si sarebbe portati a pensare. Infatti nel caso di un cane adulto c’è lo spazio per conoscersi, per comprendere chi è l'altro. In termini di decisione questo fornisce certo una maggior possibilità di fare una scelta accorta, nei limiti posti proprio dalla variabilità di come poi si svilupperà la relazione.
Inaspettata autonomia
Accadranno altre cose impreviste, molte altre, nella storia tra Elena e Serbia: le relazioni possano essere influenzate dalle nostre aspettative del resto ed è interessante riflettere quanto le proiezioni soggettive arrivino persino a renderci ciechi rispetto alla realtà che abbiamo di fronte, quanto la nostra mente si soffermi su alcuni dettagli e non su altri, benché siano essi al quanto evidenti, per aderire forzatamente a queste nostre proiezioni.
Elena Garoni è certamente una persona esperta e molto ben preparata in merito al mondo del cane, ciononostante un punto di vista esterno diventa spesso fondamentale soprattutto perché, ed è qui che si sofferma la nostra riflessione, le altre persone non vivono immersi nelle nostre proiezioni, ma nelle loro. Questo consente di far emergere cose palesi, a conti fatti, ma che noi non riusciamo o non vogliamo vedere.
Elena riprende il racconto della loro storia: «Cominciamo a conoscerci, con tutti gli ostacoli mentali dati dal ricordo di Willy, che era un cane senz’altro dotato di una buona autonomia e indipendenza ma io restavo costantemente il suo punto di riferimento. Invece con Serbia mi sono trovata di fronte a tutt’altro bagaglio di espressione delle motivazioni. I bisogni di Serbia emersero immediatamente, e per lei avevano un grande peso, erano prioritari nella scala dei valori. Lei aveva un’altissimo livello di predazione ed esplorazione, e in quei momenti io venivo decisamente in secondo piano».
È naturale che nell’incontro con un cane si ricerchi qualcosa di conosciuto e il bisogno di scorgere quello che è stato e che tanto ci manca della relazione con il nostro cane del passato. E altrettanto naturalmente la realtà dei fatti porta con sé la disillusione.
«Serbia mi ha consentito – continua Elena – di affrontare un diverso tipo di relazione, un nuovo livello di fiducia, di capacità di comunicare e intendersi. In quei momenti, nei quali lei esprimeva tutta se stessa, la sua natura, io per lei c’ero ma in un modo radicalmente diverso per quello che era stata la mia esperienza fino ad allora con Willy. Per me è stata un’enorme lezione. Mi ha messo di fronte a un grande lavoro su chi ero io per lei, alla domanda: quale posto avrei potuto prendere nel suo mondo?».
La veterinaria esperta in comportamento si pone dei dubbi, valuta se stessa in primis oltre che il cane che ora ha di fronte: «Willy non è stata in grado di insegnarmi certe cose perché il suo carattere era totalmente differente, Serbia mi ha poi fatto capire altro: mi ha chiaramente detto che per ottenere qualcosa da lei avrei dovuto dare. E ciò che principalmente le dovevo concedere erano libertà e fiducia, tempo e pazienza. Allora lei, poi, mi ha dato immensamente di più. Questo è stato il cambio di prospettiva che ho dovuto fare. Nel momento in cui le ho dato queste cose, solo allora, ho potuto chiederle, per esempio, anche di evitare di fare determinate cose».
Era forse prevedibile questo grande bisogno di indipendenza che così chiaramente Serbia manifestò in brevissimo tempo? Forse sì, ma… «È stato tutto un divenire – fa sapere Elena – e mi sono anche resa conto di quanto le aspettative e i preconcetti agiscano in modo sottile sul nostro modo di stare nel mondo. Per fare un esempio, vi era una grande somiglianza morfologica tra Willy e Serbia e questo ha interferito con la mia capacità di analisi e valutazione, addirittura sulla tipologia di cane che avevo davanti».
«Willy era una meticcia di cani da pastore conduttore, lupoide, snella, e senza nemmeno pormi dubbi ho sovrapposto queste sue caratteristiche a Serbia, che me la ricordava molto – dice Elena – C’è voluta un’altra persona, che non era influenzata dalle mie stesse rappresentazioni mentali, per farmi capire che Serbia aveva evidentemente dei tratti riconducibili a cani nordici e non a cani da pastore. Questo fatto, questa rivelazione, è come se mi avesse tolto un velo dagli occhi. E da qui è nata la scoperta di esigenze totalmente diverse rispetto a quelle che conoscevo bene. Volevo un cane da pastore, con quei tratti caratteriali, quelle propensioni e mi trovavo ora con un cane che sotto quel profilo stava agli antipodi. È lì che ho lasciato andare definitivamente Willy e sono entrata, con tutte le scarpe, in un mondo nuovo, per quanto concerne la relazione. Le lezioni da imparare sono state molte e mi hanno costretta a lavorare tanto su di me, con lei. O forse sarebbe meglio dire: grazie a lei».
Tendiamo a pensare, ognuno di noi, di essere affini ad una certa tipologia di caratteri, che nel cane si possono generalizzare nelle peculiarità delle differenti razze d’appartenenza. Frasi come: «Io sono un tipo da molossoidi!», «Io mi trovo bene con i cani da pastore», oppure, «Non potrei mai stare con un cane da caccia», e così via, sono abbastanza comuni. Forse questa tendenza è quella che rende molte persone attaccate (appassionate) ad una razza specifica, ad un certo profilo comportamentale, a tal punto da non riuscire nemmeno ad immaginarsi in un’esperienza relazionale differente.
È un aspetto molto interessante, e queste riflessioni, che chiediamo di approfondire ad Elena, ci portano a considerare cosa effettivamente ci influenzi, ci diriga, nei nostri comportamenti, al di là di quello che sappiamo e conosciamo, della logica che cerchiamo di apporre alle nostre scelte al fine di giustificarle a posteriori. Così Elena continua: «Posta davanti ad una scelta non mi sarei mai orientata verso una tipologia di cane come i nordici, così bisognosi di indipendenza, così solidi nella loro auto-efficacia. Sono sempre stata orientata verso i cosiddetti conduttori, non tanto ad una razza nello specifico, ma a quel genere di psicologia. Adeguarmi a Serbia, alle sue caratteristiche peculiari, al suo bisogno anche di solitudine in certi frangenti… Non si riesce a starle dietro quando è in perlustrazione, puoi andare con lei, certo, ti accetta di buon grado, ma non ti aspetta, come farebbe invece un pastore. Come faceva Willy… E tutto ciò mi ha messo molto alla prova. Per me è stata davvero una grande fatica».
Accettare, cambiare, smussare…
Ecco che Elena si trova a fare i conti con un soggetto diverso da quello che vagheggiava nei suoi desideri. Desideri che ci portano inesorabilmente verso un’idea di confort, che per ognuno di noi è differente. Abbiamo delle resistenze ad immergerci nel “nuovo”, supportate anche dalla saggezza popolare: «Chi lascia la strada vecchia per la nuova sa cosa lascia, ma non sa cosa trova!», un proverbio che è un monito, ma non significa che non si debba accettare la sfida davanti ad un bivio. Per certi versi è proprio l’ignoto che sta sulla strada "nuova" che spesso attira alcuni di noi.
«Il cane che mi lascia indietro è l’apice della solitudine, per me», continua Elena. «Ma è proprio stata l’esperienza di vita con lei che mi ha insegnato ad apprezzare quel tipo di solitudine. Ancora adesso, dopo molti anni, le passeggiate mattutine nei parchi si svolgono su piani differenti, con tempi differenti. Serbia non è il cane che mi trotterella vicino, lei entra nel bosco e scompare, per un po’. Poi ricompare, prima di scomparire di nuovo…».
Viene da pensare che il desiderio di rispettare l’altro, nelle sue peculiarità, sia una leva che ci porta davanti ad uno specchio, ad affrontare le nostre paure, le nostre debolezze, soprattutto quelle sottili, sopite tra le pieghe profonde della nostra personalità. Alle volte ignote persino a noi stessi. Tirare quella leva per sollevare l’immagine che mostriamo al mondo e affrontare quello che nasconde richiede forza, tanta forza. Forza che forse riusciamo a trovare quando vogliamo capire l’altro: se fosse per noi soli, probabilmente non la troveremmo.
«Ho anche fatto fare un test genetico a Serbia. Oggi è abbastanza facile, ci sono società che pagando ti inviano un kit, con un tampone, che poi viene analizzato e viene mandato via mail il referto. In Serbia non c’è nemmeno una lacrima di cane da pastore è, in pratica, tutta un Husky. Accettare che anche geneticamente la sua propensione genera bisogni assolutamente differenti rispetto a quelli di un cane da pastore ha significato poter entrare pienamente in relazione con lei. Nel momento in cui tu sei convinto che il tuo cane sia “X”, ti aspetti anche che più o meno si comporti da “X” e quando non va così cerchi di capire cosa non funzioni, perché le cose non vanno come dovrebbero. Pensi di sbagliare, pensi che ci sia qualcosa che non va nel cane. Ma se sai che il tuo compagno canino invece che essere “X” è “Y” allora tutto cambia. Questa consapevolezza è importante, lo è stata per me. Non potevo chiedere a Serbia di essere ciò che lei non era affatto».
Capire chi si ha davanti è un percorso tortuoso, bisogna prima di tutto accettare l’altro per cominciare a comprenderlo nelle sue peculiarità. Ostinarsi nel vedere qualcosa che non c’è è forse la prima fonte di crisi nelle relazioni tra individui. La prima forma di maltrattamento dell’altro, anche se assolutamente involontaria.
«Da qui, da questa consapevolezza, abbiamo trovato dei compromessi, ci siamo messe d’accordo. Allora, le ho detto, facciamo così: “Quando ho poco tempo a disposizione, quando siamo in un luogo sconosciuto, beh, allora non posso liberarti (questo soprattutto nei primi tempi del nostro rapporto), ma quando siamo in un luogo conosciuto e sicuro, e c’è il tempo, allora vai pure”. Questo è stato il nostro patto e naturalmente significa organizzare la propria vita al fine di favorire per lo più quest’ultima condizione».
«Quello che mi ha insegnato un grande cane come Serbia è che prima le devo dare, se poi voglio avere. Willy invece mi aveva abituato “male” su questo frangente – dice Elena affettuosamente – Lei si accontentava, sempre. Non mi metteva sotto scacco. Per certi versi direi che è stata diseducativa: lei non mi chiedeva mai, mi assecondava e si accontentava. Serbia no: mi ha chiesto e lo ha fatto da subito».
Ma se le cose poi non vanno così? Se non si comprende di essere di fronte a qualcosa di diverso da quello che si vorrebbe? Se ci si ostina a voler ottenere ciò che ci appare lecito pensando di essere davanti a “X” senza minimamente sospettare che l’altro invece sia “Y”? Elena ci riflette sopra, poi risponde: «La strada più immediata, forse anche più “normale”, è quella di cercare il controllo. Ma il problema è che il controllo genera uno scontro all’interno della relazione, e con certi individui, con certi cani, questa pretesa è durissima. Serbia avrebbe alzato continuamente l’asticella. Alla fine sei costretto ad aumentare continuamente il peso del controllo sull’altro, entrando in una spirale che presto porta all’imposizione violenta».
Il cane dei desideri
Detto tutto ciò, è lecito domandarsi se sia possibile approcciare una nuova esperienza – come quella di adottare un cane – senza aspettative, azzerandole? «Il punto sono soprattutto i desideri e le esigenze, oltre alle aspettative – risponde Elena – Allora mi chiedo se possiamo sopprimere i nostri desideri? E, cosa siamo, senza desideri e aspettative?».
È un’interessante riflessione che ci porta inevitabilmente a considerare quale peso abbiano le disillusioni per ognuno di noi, ma anche a quanto, proprio queste, ci consentono di evolvere come individui. Cosa che non accadrebbe se il mondo assecondasse sempre i nostri desideri.
La storia con Serbia ne è un esempio eclatante. Se le carte fossero state tutte sul tavolo, se le peculiarità di Serbia non si fossero svelate con il tempo ma fossero state tutte note a priori, Elena non l’avrebbe mai scelta, perdendosi così l’opportunità di fare un’esperienza diversa, di grande forza e intensità, che l'ha messa di fronte ai propri limiti e l’ha condotta in un territorio sconosciuto. Un viaggio intrapreso per amore di Serbia, di quel cane che non potrebbe essere più differente da Willy e dalle aspettative che il suo ricordo portava con sé.
Ma come detto non è cosa facile. Elena continua: «Certo, bisogna poi vedere come viene vissuta questa disillusione delle aspettative e il fatto che il desiderio rimanga insoddisfatto. Spesso ti senti anche umiliato. Chi vive intensamente con i cani lo sa bene, si prendono delle vere e proprie mazzate, alle volte. Non saprei se sia possibile non avere aspettative, essere aperti pienamente all’avventura senza pregiudizi e preconcetti. Forse si può averne il meno possibile e rendersi disponibili ad accettare anche un repentino cambio di rotta. In qualche modo le aspettative sono comunque legate alle emozioni, e questo le rende inevitabili, specialmente quando si tratta di entrare in una nuova relazione, anche, o soprattutto con un cane».
«Serve la capacita di andarci “morbidi” sui propri desideri, questo sì – conferma Elena – Quello che vedo sempre di più è che invece c’è una gran rigidità in tutti noi. Siamo poco versatili e tutto quello che non accade come vorremmo diventa un affronto personale: o è il mondo che non funziona o siamo noi che non ci sentiamo abbastanza furbi per questo mondo. Forse invece il mondo gira per suo conto e siamo noi che dobbiamo disporci anche a calpestare orme nuove, non per forza quelle che ci aspettiamo. Serve maggior flessibilità nelle persone…».
Dopo un breve momento di riflessione, Elena conclude questo viaggio nella sua storia personale con Willy e Serbia e anche quella professionale così: «Forse è per deformazione professionale, il vedere sempre un’aspettativa disillusa, che porta poi ad un problema. Ma esiste anche il caso, e forse è il più frequente, nel quale una persona viene colta alla sprovvista, ma in modo positivo. Ecco che poi quella disillusione si trasforma in una piacevole sorpresa, con esclamazioni come: e io non mi sarei mai aspettato che andasse così! Tra me e Serbia si è creato un legame molto forte e siamo in grande sintonia. Ci capiamo molto bene, e ci rispettiamo profondamente. Alla fine lei mi ha dato l’opportunità di crescere, e quando sono riuscita ad abbandonare le mie ansie mi ha donato la possibilità di meravigliarmi ancora… Non posso chiedere di meglio…».