Davide Majocchi, presidente di Pensiero Meticcio Odv che opera presso il canile municipale di Gallarate, ha passato l’intera vita ad occuparsi di cani abbandonati e ha raccolto una grande esperienza in questo settore. Sono tante le storie che ha visto in prima persona di incontri tra umani e cani che si sono scelti e hanno condiviso poi la vita insieme e molti di questi "ritratti di vita" includono spesso e per fortuna la scelta di adottare un cane adulto.
Le esigenze cambiano: sempre meno persone cercano i cuccioli
Le persone che frequentano il canile hanno realmente l’esigenza di adottare un cucciolo? E se sì, questo tipo di scelta è spesso frutto di errate convinzioni? «Negli ultimi dodici anni di lavoro a contatto stretto con il pubblico posso dire che la tendenza delle persone a volere un cucciolo sia in decrescita. Quello che invece vedo in aumento è la richiesta di un cane di piccola taglia – sottolinea Majocchi – Se abbiamo un cane di taglia piccola, infatti, a prescindere dall’età sappiamo che avrà maggiori possibilità anche rispetto ad un cucciolo o cucciolone di taglia grande».
Dalle parole di David emerge subito il tema dell’Indice Di Adottabilità (IDA), ossia quell’insieme di caratteristiche del cane che lo rendono "più appetibile" a chi si avvicina al mondo dei canili. Alle volte il colore del mantello è un parametro che incide sulla possibilità di un cane di essere adottato o meno; altre volte il fatto che sia maschio o femmina; altre ancora l’età. Majocchi mette in evidenza il fattore “taglia”. In realtà l’IDA di un cane è variabile anche a seconda del contesto socio-culturale nel quale il canile è inserito, infatti è possibile che un cane di taglia grande sia più apprezzato in certi contesti e meno in altri.
«Perciò, quando un cucciolo ha in sé le premesse di diventare un cane grande ed è maschio è molto facile che rimanga in canile. Quindi anche il fatto che sia maschio ha un suo peso sulle scelte delle persone – continua il presidente di Pensiero Meticcio – È come se l’immaginario del “cane da adottare” si sia modificato. Posso azzardare delle riflessioni, sul piano sociale, dicendo che questo sia un elemento che va di pari passo con il cambiamento dell'idea di "famiglia tradizionale".
Le cose non sono più cristallizzate e immutabili ed è cambiata la società da quando si pensava ad esempio che il fidanzato della tua adolescenza sarebbe stato anche il tuo compagno per tutta la vita; che i genitori non si sarebbero mai lasciati o l’idea del lavoro sicuro. Oggi non è più così, tutto è più soggetto a mutamenti. E così penso che le cose siano cambiate anche in merito a quella "necessità" imprescindibile di adottare un cucciolo se confronto la situazione odierna con quella di una decina di anni fa».
Timori e perplessità, quando permane l'idea di adottare un cucciolo perché accade?
Se dunque è rilevabile per chi lavora sul campo una sorta di cambio tendenza nelle richieste delle persone, è anche vero che molte si orientano ancora forzatamente all’adozione di un cucciolo. Quali possono essere le ragioni di questa “ostinazione”? «Solitamente il focus è sul “comportamento”. Si teme che il cane di canile, o comunque l’adulto, abbia un passato difficile che andrà a compromettere la sua capacità di inserirsi nel nuovo contesto, nella nuova famiglia. Ci sono parecchi dubbi, come per esempio: “ho dei bambini piccoli”, “lavoro tanto”, “ho già vissuto con un cane difficile”, eccetera».
In effetti queste perplessità sono anche lecite per chi non ha mai avuto una esperienza diretta e si pensa che un cucciolo sia una scelta che mette al riparo dai problemi che si pensa si possano avere con un cane adulto. «Comunque – continua Davide Majocchi – faccio sempre un po’ fatica a comprendere perché una persona voglia un cucciolo: non mi sembra che sia la scelta di un individuo ma di una categoria del pensiero che risponde più che altro ad un ideale. Visto e considerato poi che la vita è complessa, che la relazione è complessa, e che il cane si troverà ad avere a che fare anche con amici e parenti della famiglia, difficile far delle previsioni su cosa diventerà il cucciolo. L’individualità è un tema predominante».
Personalità preconfezionata: il cucciolo non è un "libro bianco"
Il tema dell’individualità e dell’imprevedibilità sono certamente in linea con le riflessioni di poco prima, ossia quelle che hanno a che fare con la flessibilità della società, forse anche con l’accettazione di perdere punti di riferimento che un tempo orientavano la vita delle persone, ai quali si poteva ricorrere quando si perdeva un po’ la bussola. L’importante era il lavoro sicuro, la proprietà della casa, la solidità granitica della famiglia (costi quel che costi), la pensione, eccetera. Tutte cose che oggi non sono più appigli per la maggior parte di noi. Quindi, tutto ciò dovrebbe anche essere applicato alla relazione con il cane e certe convinzioni oggi non hanno più senso di essere.
«Chi pensa che un cucciolo sia comunque un libro bianco sul quale si possa scrivere tutto quello che si vuole, beh, si sbaglia – sottolinea Majocchi – Ha una sua personalità e "l’educazione" si pensa possa essere il mezzo assoluto per plasmare il cane proprio come lo si desidera. Posto poi che si abbiano le idee chiare in merito a questo, cioè che si sappia davvero rispondere alla domanda: "Come vorresti che fosse il tuo cane da adulto?"».
Le risposte, nella stragrande maggioranza dei casi, sono idee molto vaghe poi. «In sostanza il dire: "Voglio un cucciolo perché così lo cresco come dico io" altro non è che il desiderio di avere un cane che non dia problemi, che non metta in discussione le nostre abitudini e aderisca pienamente ai nostri desideri – spiega Majocchi – Ed è qui che si annidano aspettative spesso irrealistiche e prive di fondamento, soprattutto quando una persona non ha alcuna esperienza di vita con un cane».
Quando questo accade, ecco che subentra l'importanza di essere seguiti da persone esperte nel percorso di adozione: «A questo punto – prosegue Davide – cerco di far riflettere sul fatto che gli individui sono comunque tutti diversi, anche se hanno avuto la stessa educazione. Solitamente porto come esempio i fratelli in una famiglia: non è che sono uguali perché hanno gli stessi genitori, magari hanno frequentato le stesse scuole e ovviamente hanno vissuto nella stessa casa. Alla fine siamo tutti unici. Devo dire che le persone, quando vengono portate a riflettere su queste cose, in questi termini, spesso si aprono a nuove prospettive».
Majocchi non dimentica però che esiste uno "zoccolo duro". «Certo è anche che coloro che vogliono il cucciolo a tutti i costi non ti seguono in queste considerazioni. Ma di solito sono persone che non passano nemmeno dal canile: il cane lo vanno a comprare o lo cercano su Internet. L’andare in canile implica che comunque devi esporre a qualcuno la tua scelta, le tue idee».
L'importanza del sostegno nell’adozione
E molto importante affidarsi a persone preparate quando si sceglie di vivere con un cane. Persone che possano dare un valido sostegno nell’affrontare soprattutto i primi periodi di inserimento di un cane in una nuova famiglia. «La preoccupazione che un cane adulto abbia meno garanzie di riuscire ad inserirsi è la remora maggiormente presente – continua Majocchi – Ma se poi noi riusciamo a proporre un percorso supportato all’inserimento del cane in famiglia ecco che le persone si dimostrano più disponibili. E spesso viene fuori che il cucciolo era semplicemente un’idea di partenza, un po’ data per scontata, ma non qualcosa di ponderato».
Sentirsi accompagnati e sorretti nei possibili momenti di difficoltà e di incertezza è la chiave per dissipare quelle ombre, non ben definite, che generano ansie. Cosa si intende allora quando si parla di un “percorso” per l’inserimento in famiglia del cane adulto? «A tutti gli effetti è un percorso di frequentazione, di conoscenza dell’individuo, non di didattica cinofila. Ha lo scopo di conoscere un soggetto, le sue caratteristiche, le sue peculiarità e problematiche. Si mira, quanto più possibile, alla scoperta graduale».
La paura di non essere in grado viene così cancellata dall'esperienza fatta insieme agli operatori, paura che secondo Majocchi è un tema molto importante: «Il cucciolo attira in quanto stimolatore di cure parentali, di tenerezza e simpatia ma anche perché si pensa sia più semplice da gestire. Questa convinzione è profondamente diversa rispetto alla realtà e alla responsabilità che un cucciolo richiede nelle fasi più delicate della sua vita. E allora le persone vanno informate: gli si parla della dentizione, delle pipì in casa fino ai quattro mesi d’età, del difficile periodo dell’adolescenza e della maturazione sessuale ad esempio e allora vedi sui loro volti il dubbio, la perplessità. Si rendono conto che non si erano soffermati su queste considerazioni. Indubbiamente i cuccioli mettono di fronte ad una serie di "fasi", per le quali le persone non sono affatto preparate e nemmeno sanno della loro importanza, né, alle volte, della loro esistenza».
O cucciolo o niente?
C’è una condizione, invece, che "impone" la presenza di un cucciolo in una famiglia? «No! – risponde categorico Majocchi – Alle volte però mi è capitato di dire cose come: rispetto ai cani che abbiamo in questo momento in canile, per questa famiglia, è meglio un cucciolo. Ma sempre perché in quel particolare momento non avevamo adulti idonei a quel contesto, a quella famiglia. Non va intesa come in assoluto. Alle volte l’adattabilità di un cucciolo, per esempio, alla presenza in famiglia di gatti, potrebbe essere un aspetto da considerare, giusto per fare un esempio rappresentativo di situazioni che vanno sempre valutate di volta in volta».
Il cambio di tendenze e di esigenze delle persone, l'abbandono di preconcetti granitici, in alcuni casi, va di pari passo anche con una sorta di evoluzione del lavoro in canile, come ci racconta il Presidente di Pensiero Meticcio: «Un tempo, in canile, c’era l’idea dell’affido istantaneo, poi si è passati al pre-affido sul modello del controllo protezionista classico, quindi il mettere in luce ogni possibile complicazione andando poi a privilegiare l’affido che si pensava con meno rischi. Poi arriva l’idea dell’affido attraverso un percorso, che consiste nell’implementare le capacità di comprensione dell’individuo, dell’ambiente, dell’altro, sia per quanto riguarda il cane che le persone. Resta il fatto che, per me, con alcuni individui l’affido è comunque una questione aperta, da sostenere nel percorso di sviluppo della relazione. Il cucciolo resta un'incognita per molto tempo rispetto ad un cane adulto, insomma una situazione di maggior rischio per il futuro del cane in famiglia».
Ti voglio bene per quello che sei!
Indubbiamente un ruolo importante in tutto ciò lo ricoprono le aspettative, i film che ci facciamo nell’immaginare la relazione che vorremmo pensando che un cucciolo sia un "rischio minore" ma non sempre le cose però seguono il nostro copione. «Quello dell’accettazione è un argomento importantissimo.. Un tempo era sfruttato in senso moralistico: "Hai preso un cane e quindi devi averlo con te e devi esserne felice!". Ma così si insinua il senso di colpa quando nascono degli effettivi problemi di relazione. Poi c’è stata una sorta di evoluzione razionalistica: "Puoi affrontare questo problema e trasformarlo in qualcos’altro", quindi se ne faceva una questione di percorso più che di rassegnazione. Per me queste due prospettive devono spingere per arrivare ad una nuova lettura, un nuovo schema di base, ovvero l’accettazione positiva che si potrebbe esprimere così: "Ognuno di noi impara a stare con l’altro quando lo ha accettato", un po’ come noi una volta adulti facciamo con i nostri genitori quando accettiamo le loro peculiarità e non ci imbarchiamo più in battaglie ideologiche per cambiare il loro punto di vista come magari si faceva in adolescenza. Questo è un possibile modo per addentrarsi in una nuova dimensione di rapporto con il cane. In fondo quando si diventa amici di qualcuno non lo si fa con l’idea di cambiarlo».
Haghen e le cicatrici della vita
Davide Majocchi chiude il cerchio delle sue considerazioni ricordando la vicenda di un cane che lo ha toccato molto e che fa ancora una volta riflettere quanto sia importante guardare oltre, percepire in modo sottile chi si ha di fronte per dargli un’altra possibilità e possa così ricostruirsi una nuova vita per quello che è.
«Haghen è un Pitbull enorme. Un culturista con dei muscoli spropositati. Tutti avevano paura di lui. È stato trovato in una villetta abbandonata. I vicini se ne sono accorti dopo circa una settimana e lo hanno portato al canile. Il cane aveva un microchip estero. Haghen porta addosso numerose cicatrici, probabilmente da scontri con altri cani. Tutti ammiravano quel cane, ma con un fondo di timore. È indubbiamente un cane, un adulto, che ha vissuto, che porta su di sé un grande bagaglio di esperienza. Insomma, questo timore nei suoi confronti fa sì che nessuno lo voglia adottare, anche se tutti rimangono affascinati dalla sua bellezza e prestanza». Ad un certo punto però è arrivata una famiglia e la figlia si è innamorata di lui. «Usciamo in passeggiata insieme – ricorda Davide – E ci tengo a precisare che era un cane dal carattere solido, mi dava veramente molta fiducia».
La madre aveva però qualche perplessità, comprensibilmente. «Facciamo così diversi incontri in canile e a un certo punto vengo a sapere che l’altra figlia ha qualche problema di autismo». È stato quello il momento in cui Majocchi si è reso conto che: «Haghen era il cane che poteva inserirsi in quella famiglia, proprio perché lui un "adulto" nel senso di maturo, equilibrato. Portava sulle sue possenti spalle moltissime esperienze che lo avevano reso solido». Alla fine, dopo mesi di incontri, la famiglia lo ha portato via con sé e oggi sono felicissimi. «In situazioni simili inserire un cucciolo, invece, avrebbe potuto avere effetti devastanti».