Paladina della giustizia, mente ingegnosa e creativa, tra i personaggi della moda più discussi a livello globale per le sue sfilate e le sue campagne di protesta. Se ne è andata per sempre, all'età di 81 anni, l'iconica stilista inglese Vivienne Westwood, in lotta con una brutta malattia da tempo.
La sua è stata una carriera costellata di successi provocatori e di battaglie nel sociale, per sensibilizzare l’industria della moda e la politica sull’importanza della salvaguardia del Pianeta, delle persone e degli animali dai danni provocati dai cambiamenti climatici.
Le sue passerelle, infatti, sono state utilizzate, questo è il termine giusto, non solo per far sfilare le sue estrose modelle e il suo stile audace e sovversivo, ma anche e soprattutto per mettere in luce le tematiche a cui teneva in particolare modo.
E allora, indimenticabili sono le magliette scritte con messaggi inequivocabili sull’urgenza di orientare rapidamente il mondo del fashion verso una rivoluzione green per dare al nostro Pianeta almeno una possibilità.
È stata una delle prime designer del lusso a prendere posizioni tanto radicali riguardo all’ambiente e ai consumi e con un’altra stilista, simbolo della sostenibilità nella moda, Stella McCartney, hanno dato il via al fashion senza pellicce, chiedendo al Regno Unito di cancellarne la produzione, la vendita e la commercializzazione. Westwood è stata una delle stiliste più attive della campagna #FurFreeBritain.
I suoi ultimi accessori realizzati con pellicce animali sono state 8 borsette ed era il 2007. Poi stop. Consapevole di far parte di un sistema, quello del tessile, tra i più inquinanti, la stilista aveva ormai da tempo iniziato a provare a minimizzare l’impatto del proprio brand sull’ambiente.
Per questo aveva cominciato a ricercare materiali innovativi e lavorati in maniera da inquinare il meno possibile. Cercando anche di sensibilizzare sempre più i consumatori sull’importanza della qualità piuttosto che della quantità dei capi. Famosissimo il suo motto “Buy less, choose better, make it last”, “Compra meno, scegli meglio e fallo durare”.
Sempre vicina alle battaglie della Peta, la People for the Ethical Treatment of Animals, ente di beneficienza a tutela dei diritti animali, nel 2013 si era già esposta al fianco di Save The Artic, campagna di Greenpeace per protestare contro le trivellazioni nell’Artico e la pesca intensiva in quelle acque.
Aveva realizzato la collezione Speciale Rainforest per combattere la deforestazione delle foreste pluviali e proteggere le tribù locali. Insomma non si è mai distratta un attimo dalla tematiche che aveva a cuore.
Fino all’ultimo momento: il suo blog, No man’s land, dove scriveva le sue riflessioni, ma dentro al quale raccoglieva anche spunti di attivisti e lettere di persone comuni, è aggiornato al 24 dicembre.
E solo il mese scorso, aveva dichiarato di sostenere i manifestanti per il clima che avevano gettato della zuppa su “I girasoli” di Van Gogh, e aveva scritto: «I giovani sono disperati. Indossano una maglietta con la scritta: Just Stop Oil. Stanno facendo qualcosa».