L'impatto dell'uomo sul Pianeta viene spesso paragonato a quello del meteorite che spazzò via (quasi) tutti i dinosauri 66 milioni di anni fa. La maggior parte degli scienziati è perciò concorde, siamo nel bel mezzo di una grande estinzione di massa, la sesta in tutta la storia della vita sulla Terra. Tuttavia, nonostante numerose prove indichino che animali, piante e altre forme di vita stiano svanendo a velocità pericolosamente "innaturali", alcuni tendono a sminuire o addirittura a negare l'esistenza di una crisi della biodiversità causata dalle attività umane.
In nuovo studio, pubblicato recentemente su Biological Review, i ricercatori dell'università delle Hawaii e del museo di storia naturale di Parigi hanno perciò provato a sciogliere ogni dubbio, fornendo nuove e schiaccianti prove che dimostrano incontrovertibilmente che la sesta estinzione di massa, purtroppo, è realmente in atto. Secondo gli autori, solamente negli ultimi 500 anni si è già estinto circa il 10% di tutte le specie viventi, confermando quindi che il tasso attuale di estinzione super di gran lunga quello naturale di fondo.
I negazionisti della sesta estinzione di massa
Per quanto possa sembrare assurdo in un epoca di sconvolgimenti climatici e ambientali, esiste una parte cospicuo della società ancora piuttosto scettica nei confronti della crisi della biodiversità. Sono essenzialmente due le critiche che vengono mosse verso a chi afferma che stiamo attraversando un periodo critico per la vita sulla Terra. La prima è che tutti i tassi di estinzione stimati sono enormemente esagerati e che la velocità con cui stanno svenendo le specie e non è significativamente maggiore rispetto al passato. In secondo luogo c'è chi sostiene che qualsiasi estinzione viene naturalmente compensata dalla comparsa di nuove specie e che, poiché gli esseri umani sono parte integrante del mondo naturale, piante e animali che scompaiono a causa delle attività umane sono da considerarsi come un fenomeno naturale, un effetto collaterale della normale traiettoria evolutiva della vita sulla Terra.
Ma sebbene le prove a sostegno dell'esistenza di una grave crisi della biodiversità sembrano essere schiaccianti, c'è persino chi arriva a rifiutare totalmente queste evidenze, sostenendo che gli allarmi lanciati da chi si occupa di conservazione siano perlopiù esagerati, se non addirittura completamente inventati per attirare una maggiore attenzione sul tema e aumentare così fondi e opportunità di lavoro nel settore della biologia della conservazione. Come fanno notare Cowie e i coautori di questo studio, le prove fornite dagli scettici fanno leva solamente sui dati raccolti nella Lista Rossa dell'IUCN, il più completo inventario sullo stato di conservazione delle specie viventi a livello globale. Le stime calcolate utilizzando questa lista, secondo i negazionisti, non differirebbero poi così tanto dai i tassi di estinzione del passato. Tuttavia, c'è un grave bias tassonomico di fondo in queste valutazioni.
Gli invertebrati e i molluschi come termometro per la biodiversità
Come fanno notare gli autori dello studio, sebbene la Lista Rossa sia uno strumento imprescindibile per misurare lo stato di conservazione della biodiversità, questo database è fortemente incompleto e fuorviante. Quasi tutti gli animali valutati all'interno della lista sono infatti mammiferi o uccelli, o quantomeno vertebrati, che però rappresentano solamente una piccolissima porzione della vita animale sulla Terra. Nella Lista Rossa della IUCN sono state infatti complessivamente valutate oltre 120.000 specie e di queste ben oltre 52.500 sono vertebrati. Sebbene sia un'enorme quantità di forme di vita, questo numero copre appena il 5,6% delle circa 2,14 milioni di specie animali e vegetali accettate dalla stessa IUCN. I dati sono quindi profondamente parziali e troppo vertebratocentrici, ma come sottolineano Cowie e colleghi, la vita animale sulla Terra è indiscutibilmente invertebrata, pertanto le tesi di scettici e negazionisti sono prive di evidenze scientifiche. Ma quindi cosa succede se utilizziamo proprio gli invertebrati per estrapolare delle stime globali sulla perdita di biodiversità?
Gli invertebrati rappresentano oltre il 95% di tutta la vita animale sulla Terra e perciò i ricercatori hanno utilizzato i molluschi, il secondo phylum più grande in assoluto per numero di specie conosciute (dopo gli artropodi), per estrapolare delle stime globali sull'attuale tasso di estinzione delle specie. Partendo perciò dalle valutazioni e dai calcoli effettuati analizzando la perdita di biodiversità nei molluschi, i ricercatori stimano che a partire solamente dal 1500 si è già estinto tra il 7,5 e il 13% di tutte le specie conosciute. Parliamo di numeri impressionati compresi tra 150.000 e 260.000 specie viventi. Un ordine di grandezza ben 882 volte più grande delle stime che saltano fuori utilizzando solamente la Lista Rossa IUCN.
La sesta estinzione di massa è qui ed è forse troppo tardi per fermarla
Gli autori non quindi alcun dubbio: includendo gli invertebrati nel calcolo delle stime, si arriva inevitabilmente alla conclusione che il tasso attuale di estinzioni supera di gran lunga quello di fondo e che potremmo davvero essere testimoni (e carnefici) dell'inizio della sesta estinzione di massa. Questi numeri ovviamente variano molto a secondo dei taxa o dei tipi di ambienti presi in considerazione. Per esempio, sebbene molte specie marine stiano affrontando un numero elevatissimo di minacce, sono soprattutto quelle terrestri a sparire più velocemente. In particolare quelle che hanno areali di distribuzione molto limitati o che vivono, per esempio, esclusivamente su una o poche piccole isole. Nonostante le inevitabili fluttuazioni a secondo del caso la tendenza generale è evidentemente chiara: le specie stanno sparendo a velocità paurosamente innaturali.
Noi Homo sapiens siamo l'unica specie attualmente vivente in grado di modificare la Terra su larga scala e siamo ormai, senza più ombra di dubbio, la causa innegabile della crisi della biodiversità. Nonostante gli enormi e sempre più crescenti sforzi di conservazione, la maggior parte delle iniziative e degli investimenti è purtroppo ancora orientata su poche singole specie, quasi tutte vertebrate. Con un certo grado di pessimismo gli autori concludo affermando che, stando ai numeri calcolati, è ormai troppo tardi per salvare dall'estinzione la maggior parte dei viventi e che, nonostante gli sforzi, non saremo più in grado di invertire questa triste tendenza.
Tuttavia, per i ricercatori è essenziale continuare a investire nella conservazione, sia per continuare ad alimentare l'innata biofilia umana nei confronti delle altre forme di vita, sia per provare a documentare e a salvare quante più specie possibili prima che svaniscano per sempre. La biodiversità del Pianeta sta svanendo a un ritmo senza precedenti e nell'indifferenza generale di tutti. Negare la crisi non solo va contro qualsiasi tipo di evidenza scientifica ma non può far altro che peggiorare le cose e, considerando che saremo soprattutto noi a pagarne le conseguenze, sarebbe l'ennesimo gravissimo errore di una specie autoproclamatasi sapiens ma che non è nemmeno in grado di di badare alla propria autoconservazione.