In occasione del congresso "Fauna selvatica e territori: conoscere per gestire", organizzato il 13 gennaio a Viterbo da Confagricoltura in collaborazione con l’Ente Produttori di Selvaggina, Ispra ha presentato i risultati di un'indagine nazionale sulla gestione del cinghiale in Italia nei sette anni dal 2015 al 2021.
Secondo i dati pubblicati nel report, gli abbattimenti di cinghiali sono aumentati del 45%, raggiungendo un numero di circa 300 mila all'anno, per un totale di circa 1,8 milioni di animali uccisi nei 7 anni presi in considerazione. Lo studio riporta inoltre una stima dell'importo dei danni all’agricoltura riconducibili a questa specie, quantificati in una media annuale pari a circa 17 milioni di euro.
Secondo Ispra il complesso quadro espresso dal report evidenzia la necessità di un rapido intervento di gestione del fenomeno su scala nazionale. Un provvedimento che preveda una raccolta dei dati e che integri anche le informazioni sui metodi di prevenzione e riguardo gli incidenti stradali, con l'obiettivo di favorire un monitoraggio della specie in tempo reale: «Bisognerà assicurare, inoltre, prelievi selettivi e pianificati coerentemente, con l’obiettivo prioritario della riduzione dei danni», si legge nel testo dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.
«Necessaria una strategia d'intervento omogenea su scala nazionale»
Ad oggi, infatti, nel nostro paese non esiste alcun sistema omogeneo di raccolta dei dati su scala nazionale e, per questo motivo, nella compilazione del report Ispra ha fatto affidamento sulle informazioni fornite dalle Regioni, dalle Aree protette e dai testi dei “Piani regionali di intervento urgente per la gestione, il controllo e l'eradicazione della peste suina africana”, elaborati nel 2022 da tutte le Regioni e Province Autonome.
«Il dato più importante che emerge dall'indagine è che la caccia, ad oggi, non si è rivelata un metodo efficace per ridurre il numero di cinghiali – commenta a Kodami Massimo Vitturi, responsabile del settore Animali Selvatici della Lav – La ricerca di Ispra è certamente un passo avanti per il nostro paese, perché è la prima volta che possiamo parlare di questa specie con l'ausilio di dati scientifici e non solo seguendo gli umori e le opinioni aleatorie di cacciatori ed allevatori».
Il documento, infatti, stima per la prima volta la dimensione della popolazione italiana di cinghiali, quantificata in numero minimo di un milione e mezzo: «Questa cifra ridimensiona nettamente quanto espresso in passato dalle due categorie», commenta Vitturi.
Dove e come vengono abbattuti i cinghiali: l'88% muore durante le braccate con i cani da seguita
Secondo quanto descritto nel report l'86% degli abbattimenti avviene in attività di caccia ordinaria, mentre solo il restante 14% (circa 295.000 soggetti) viene abbattuto in occasione di attività di controllo faunistico. La regione più interessata è la Toscana, con il 30% degli abbattimenti totali (circa 630.00 mila animali), ma nei 7 anni presi in esame, anche in Emilia-Romagna, Piemonte, Lazio, Umbria, Marche e Liguria sono stati abbattuti più di un milione di esemplari e, in queste regioni, è avvenuto il 73% degli abbattimenti totali.
La Provincia Autonoma di Bolzano, invece, è l'unico territorio che non ha visto alcun abbattimento di cinghiali, per via della distribuzione ancora molto limitata della specie in questa zona.
Un ulteriore elemento preso in considerazione dall'indagine riguarda le tecniche utilizzate per gli abbattimenti. Secondo Ispra, infatti, la metodologia più più utilizzata in Italia è la cosiddetta braccata con i cani da seguita (metodo usato nell'88% dei casi).
«Questa tipologia di caccia ha gravissime ricadute sull'intero ecosistema e destruttura le popolazioni di cinghiali. A causa del recente Emendamento Far West verrà utilizzata ancora di più in futuro, anche nei parchi e nelle aree protette – commenta Vitturi – Nel report, però, Ispra fa riferimento a questo elemento, sottolineando come la strategia di intervento nazionale dovrà prendere in considerazione prelievi selettivi e pianificati coerentemente, i quali non sono attuabili attraverso la braccata».
Questo tipo di caccia, infatti, prevede grandi squadre di cacciatori, accompagnati da decine di cani da seguita «Essi stessi sono spesso sottoposti a terribili sofferenze, oltre che al rischio di restare feriti dai cinghiali proprio negli unici momenti di libertà che molti cacciatori gli lasciano a disposizione: un ulteriore crudele aspetto collaterale che si nasconde dietro alla tecnica della braccata».