Riforestare il mare, tornando a ricoprirne i fondali di distese infinite di praterie marine che, oltre a produrre il 50% dell’ossigeno fondamentale per la sopravvivenza del Pianeta Terra, sono anche l’habitat necessario per la vita di un’enorme varietà di animali e piante sottomarine.
Orate, seppie, dentici, triglie e murene tornerebbero quindi numerose anche in quelle acque che oggi ne sono prive a causa soprattutto dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici, ma anche per colpa dell’urbanizzazione selvaggia delle coste, della pesca a strascico e dell’ancoraggio senza limitazioni.
Questo l’obiettivo di “Replant” la campagna voluta e organizzata da Marevivo Onlus per proteggere e ripiantare le foreste del mare e ricreare i micro-habitat di cui hanno bisogno i pesci per poter vivere.
Due biologi, due Guardie costiere e due sommozzatori del gruppo subacqueo di Marevivo si stanno immergendo da un paio di settimane nel Golfo di Trieste per ripristinare quelle distese di praterie marine che si sono perse negli ultimi anni. L’obiettivo delle immersioni è il tentativo di ripristinare le foreste marine con la piantumazione della Cymodocea nodosa, una pianta che vive sotto il livello del mare e che ha un ruolo fondamentale nella ricchezza di biodiversità. Basti pensare, infatti, che una prateria di Cymodocea di 2mq rilascia in media al giorno una quantità di ossigeno pari a quella prodotta da un albero adulto.
«L’obiettivo finale di questa sperimentazione – spiega Massimiliano Falleri responsabile del gruppo subacqueo di Marevivo che in questi giorni sta guidando le operazioni – è ricostruire una foresta marina di 100 metri quadrati piantando direttamente sul fondo del mare le piantine di Cymodocea che i biologi dell’Università di Trieste hanno ottenuto per talea da altre piante ancora presenti in siti sottomarini limitrofi. Procediamo creando delle aree quadrate di un metro e mezzo per ogni lato suddivise in tante colonne all’interno delle quali piantumiamo le talee».
Un intervento pilota per ricreare l'habitat ideale per cernie, orate, triglie e murene
Nel silenzio del mondo sottomarino scandito dal respiro dei sub che piantumano una ad una le minuscole piante di Cymodocea ancorandole al fondo sabbioso attraverso delle “forchette”, la piccola prateria sta prendendo forma con immersioni giornaliere che possono andare dalle due alle quattro ore, a seconda delle difficoltà che si incontrano sott'acqua.
«Le possibilità che attecchiscano e si riproducono sono altissime – spiega ancora Falleri – è una pianta tipica di questa zona e in laguna o in acquario si è registrata una crescita anche di un 1 centimetro al giorno. In questo modo zooplancton e fitoplancton tornerebbe a rendere vivo e attrattivo l’habitat per i pesci e tutte le forme di vita che popolano da sempre questi mari».
In questo modo, dunque, le uova tornerebbero ad essere depositate fra queste piante e le attività riproduttive tornerebbero ad animare i fondali. «Nel Golfo di Trieste le praterie di fanerogame, un tempo ampiamente diffuse lungo tutta la costa, si sono drasticamente ridotte o sono localmente estinte anche laddove le cause che ne hanno determinato la scomparsa sono state rimosse – sostiene la professoressa Annalia Falace, biologa marina dell’Università di Trieste – L'intervento pilota coordinato da Marevivo rappresenta quindi una significativa opportunità per testare la fattibilità di ripristino di queste praterie nel Nord Adriatico, anche in vista di interventi futuri a più grande scala spaziale così come richiesto dalla Comunità Europea».
Ripristinare i fondali per contrastare il cambiamento climatico e salvare il Mediterraneo
La prevenzione, infatti, è l’altro grande elemento di positività del progetto. Poter prevedere, anche in base ai futuri progetti di antropizzazione delle coste, in che modo potrebbero cambiare gli habitat dei fondali, potrebbe essere un modo di prevenire il cambiamento e quindi di contrastare il cambiamento climatico.
«Quello che abbiamo trovato sott’acqua – spiega ancora Falleri – è una situazione desertica che si è venuta a formare su quella che era una volta una foresta marina. Grazie a questa sperimentazione sappiamo che in futuro potremmo intervenire preventivamente, prelevando le piante di aree che saranno soggette a interventi umani importanti e devastanti per l’ambiente marino, come la costruzione di nuovi porti, moltiplicandole per talee e quindi riutilizzandole».
Le foreste di Cymodocea nodosa, come quelle di Posidonia oceanica, offrono rifugio a oltre un quarto delle specie di flora e fauna del Mediterraneo, che è considerato un hotspot di biodiversità – cioè una regione caratterizzata da un’elevata diversità di ambienti e di organismi, con un numero stimato di oltre 17.000 specie: circa il 7,5% degli organismi marini presenti sul pianeta.
Producendo più del 50% dell’ossigeno che respiriamo, le foreste marine assorbono circa un terzo dell’anidride carbonica in eccesso prodotta dalle attività umane con una velocità 35 volte maggiore rispetto alle piante terrestri.
«Purtroppo, però, si stima che solo in Italia oltre il 30% delle praterie sommerse e fino all’80% delle foreste algali sia andato perduto e si prevede che entro il 2050 si arriverà a un’ulteriore regressione del 21% a causa dell’inquinamento, dei cambiamenti climatici e di altre attività umane come l’urbanizzazione delle coste, la pesca a strascico e l’ancoraggio selvaggio – commenta Raffaella Giugni, Responsabile Relazioni Istituzionali di Marevivo. – Il nostro futuro dipende dalla salute del mare e la salute del mare dipende da noi. Ogni mezz’ora perdiamo un’area ricoperta di praterie marine estesa come un campo di calcio. Il ripristino degli ecosistemi marini degradati è parte del PNRR ed è anche una delle priorità individuate dalle Nazioni Unite per il decennio del mare. Questo dovrebbe farci riflettere sull’importanza delle foreste marine che, proprio come quelle terrestri, devono essere tutelate e conservate.»
Tutte le foto per gentile concessione di @Marevivo Onlus