«Leone chiama Roma risponde». È questo lo slogan che domenica 25 febbraio ha richiamato nella Capitale attivisti e cittadini da ogni parte di Italia per chiedere giustizia per il gatto Leone scuoiato vivo nel Salernitano.
I manifestanti hanno anche chiesto pene più severe nei confronti di chi commette reati contro gli animali. Chi uccide o maltratta un animale, infatti, raramente sconta la reclusione prevista sulla carta. Tra loro c'è anche Annarita Distaso, referente dell'Enpa di Barletta, venuta dalla Puglia a Roma per partecipare alla manifestazione: «È il senso di giustizia che ci ha spinto a essere qui – dice a Kodami – e che dovrebbe spingere tutti coloro che amano gli animali, non solo i volontari di associazioni, ma anche casalinghe, studentesse e ragazzi. Perché se non cominciamo così non si arriverà mai da nessuna parte. Non posso continuare a vedere animali morire contemporaneamente vedere che chi li uccide non paga».
«Fare delle leggi farlocche che non fungono neanche da spauracchio non ci porterà a niente – è l'amara considerazione dell'attivista che da più di 10 anni si occupa del benessere degli animali della provincia di Barletta – C'è ancora tanto da fare, ma altrove è anche peggio, sia per quanto riguarda la consapevolezza delle persone sia per le strutture che ci dovrebbero essere e invece mancano. Piano piano, però, stiamo cambiando le cose».
Un compito che non può essere totalmente appaltato ai volontari, ma deve trovare riscontro nel lavoro dei governi regionali, e soprattutto dello Stato. Anche per ciò che concerne l'insegnamento fornito ai più giovani: «Negli anni noto un aumento dei casi di maltrattamento: siamo in un'era in cui i giovani pur di ricevere consenso attraverso i social sono disposti a fare qualsiasi cosa».
Il riferimento è al caso di una giovane di Alberobello, in Puglia, che ha ucciso un gatto gettandolo in una fontana. Nel video pubblicato sui social si sente anche la frase: «Amo’, beccati un po’ di notorietà». Un episodio che ha indignato cittadini e attivisti come Distaso.
«Adesso i giovani lo fanno apposta per ottenere visibilità, fama per un giorno – dice – Siamo in un mondo vuoto, dove l'apparire conta più dell'essere, e dove il virtuale conta più del reale. In questo contesto, i giovani commettono simili reati per sentirsi importanti. Proprio per questo dobbiamo cambiare le leggi in un modo che tengano conto anche di simili processi».