È iniziato il 16 ottobre il processo a carico della donna in Rete conosciuta ormai con il soprannome di “serial killer dei gatti”, residente in via Lavinio, a Roma.
La donna – come spiegato proprio da Kodami – non è in realtà una “serial killer di gatti”, quanto piuttosto una “animal hoarder”, ovvero una persona affetta da disturbi psichiatrici che tende ad accumulare animali, proprio come gli accumulatori seriali di oggetti tendono ad accumulare, appunto, oggetti. La conseguenza diretta di questi comportamenti è che molto spesso decine di animali – gatti, soprattutto, ma spesso anche cani – sono costretti a vivere in piccoli spazi, in condizioni igienico sanitarie pessime e privi di cure mediche in caso di necessità, situazioni che possono culminare con la morte.
Il caso della donna di via Lavinio è in realtà noto sia alle associazioni sia all’amministrazione comunale da tempo, e nonostante che in Rete sia partito un tam tam che parla di catture e uccisioni efferate, a oggi deve rispondere di maltrattamento animale. La querela è stata sporta da Stop Animal Crimes Italia, associazione che è stata dichiarata parte offesa e che è assistita dallo studio legale Lucarelli di Campobasso. Proprio il fondatore dello studio, Antonio Colonna, nel 2016 era riuscito a entrare nell’appartamento di via Lavinio su delega della Procura della Repubblica in ausilio e coordinando le guardie zoofile di Fare Ambiente. Da lì in avanti erano stati eseguiti altri tre accessi, «uno dei quali con le guardie zoofile Nogez – spiegano da Stop Animal Crimes Italia – che portarono altresì alla rimozione di oltre 30 tonnellate di rifiuti (giornali e vestiti) rinvenendo alcuni gatti morti incastrati tra di essi».
Nel marzo del 2021 era stata l’allora sindaca Virginia Raggi a firmare un’ordinanza sindacale di divieto di detenzione di animali a carico della donna. Stando alle numerose segnalazioni e denunce raccolte nel corso degli anni dai volontari, la donna tendeva ad accumulare oggetti in casa sua e a circondarsi di animali, gatti in particolare, che teneva poi segregati in casa in pessime condizioni igienico sanitarie. In quanto massima autorità sanitaria nella città di Roma, Raggi aveva quindi emesso l’ordinanza sindacale che imponeva alla donna il divieto di tenere nella sua abitazione gatti o altri animali domestici, oltre che «l’allontanamento degli animali domestici presenti nell’appartamento e la sistemazione degli stessi presso un idoneo luogo alternativo, a cura del servizio veterinario». La Polizia Locale aveva avuto il compito di effettuare un sopralluogo nell’appartamento e di vigilare sul rispetto dell’ordinanza: da allora sono trascorsi due anni, e al netto dell’ordinanza, su una situazione spinosa come quella di N.A. erano rimasti puntati i riflettori.
Il processo iniziato lunedì, scaturito dalla denuncia presentata dall’associazione, vede dunque la donna quindi imputata del reato di maltrattamento animali (art. 544 ter) con la recidiva: «Nonostante il processo in corso e l’attenzione dei media, la donna in questi anni e mesi avrebbe continuato a raccogliere animali e collocarli non si sa dove – sottolineano dall’associazione – La donna, oggetto di perizie psichiatriche che mettevano in evidenza problematiche di varia natura, non ha però mai ricevuto provvedimenti sanitari incisivi al punto da impedirle di continuare ad accumulare animali e maltrattarli e a oggi, a causa di un vuoto normativo e di un animalismo assetato di visibilità ma povero di coordinamento, non c’è ancora modo di fermarla, atteso che stia continuando; le informazioni infatti sono confuse e frammentarie ma nonostante questo stiamo continuando a monitorare».