Era una elemento conosciuto dagli scienziati da tempo e ora finalmente le ricerche hanno dato una prova definitiva di quanto le temperature del mare siano responsabili della distribuzione delle specie ittiche, con le dovute conseguenze legate al cambiamento climatico in atto che sta stravolgendo interi ecosistemi. Secondo gli scienziati, infatti, a partire dal 2050 moltissime specie di pesci saranno costretti a migrare verso nord per trovare condizioni di vita più favorevoli.
La scoperta è stata pubblicata presso la rivista Global Change Biology e ha avuto tra gli autori diversi biologi dell'Università di Bristol. Durante gli scorsi decenni, gli scienziati hanno infatti prima scandagliato chilometri di costa e poi analizzato ben 31.502 campionamenti raccolti tra il 2005 e il 2018. Un'opera mastodontica, che ha necessitato della collaborazione di diversi dottorandi e di molti docenti internazionali per essere portata a termine, con l'università britannica a capo di questo vasto team di ricerca.
I campionamenti sono stati effettuati principalmente nell'Atlantico orientale, partendo dalla punta meridionale del Portogallo fino ad oltrepassare il golfo di Biscaglia, la Manica e il Mare del Nord, per raggiungere le punte più estreme della Norvegia settentrionale. Gli studiosi hanno individuato fino a 198 specie di pesci marini, definendo la temperatura come fattore chiave della variazione spaziale su larga scala degli assemblaggi ittici e prevedendo dove le specie migreranno fra il 2050 e il 20100 tramite le proiezioni climatiche del NOAA l'agenzia scientifica statunitense che si occupa di previsioni meteorologiche).
Martin Genner, professore di ecologia evolutiva dell'Università di Bristol, che durante questi lunghi anni ha guidato la ricerca, ha dichiarato che questo studio attualmente risulta essere l'unico che riunisce questi dati su un così ampio tratto di mare. «Utilizzando queste informazioni siamo in grado di dimostrare in modo conclusivo l'importanza su larga scala della temperatura del mare nel controllare il modo in cui si riuniscono le comunità ittiche».
Fra tutti i dati che hanno permesso a Genner e ai suoi numerosi collaboratori di pubblicare nuove stime sulla distribuzione delle specie, oltre alla temperatura, ci sono anche la salinità e la profondità dell'oceano, che possono accogliere diversi ecosistemi a secondo dei loro valori e saranno fra i maggiori responsabili della futura migrazione degli animali. Louise Rutterford, autrice principale dello studio insieme a Genner, infatti, spiega: «L'analisi della temperatura, della salinità e della profondità dell'oceano ci ha permesso di utilizzare modelli predittivi sempre più complessi, che probabilmente possono essere trasposti anche in differenti mari, con lo scopo di saperne di più su come i pesci risponderanno nel prossimo futuro nei confronti del riscaldamento climatico».
L'uso di questi dati su larga scala ha permesso agli scienziati anche di mappare i principali gradienti nell'abbondanza delle comunità ittiche marine, permettendo agli studiosi di descrivere scenari catastrofici per gli ecosistemi di molti mari. Lo stravolgimento delle condizioni di questi habitat, infatti, non solo danneggia gli animali, ma anche gli esseri umani che dipendono dalla ricchezza di biodiversità degli ambienti marini. Per questo gli scienziati propongono di riconsiderare le politiche ambientali relative alle pesca, per permettere alle attuali popolazioni di pesci accrescersi e rispondere meglio al sempre più probabile innalzamento delle temperature.
Ovviamente gli scienziati ribadiscono che queste politiche non dovranno coinvolgere solo le nazioni del sud Europa, ma tutti gli stati che sono bagnati dall'Oceano Atlantico, poiché la migrazione interesserà in modo diverso anche le specie che attualmente vivono a latitudini superiori.
Steve Simpson, supervisore del progetto noto per essere stato uno dei primi scienziati a proporre le quote di pesca per alcune specie in pericolo, tiene a sottolineare proprio questo passaggio: «Lo studio si aggiunge a un numero crescente di prove che indicano che il futuro riscaldamento climatico porterà cambiamenti nelle comunità ittiche. Tali cambiamenti porteranno a pesanti conseguenze sugli ecosistemi in tutto l'Atlantico orientale, ed è per questo che vogliamo segnalare la minaccia a tutti i governi europei. Le future condizioni del mare necessitano infatti l'istituzione di nuove strategie e approcci di gestione coerenti della pesca e della tutela dei differenti habitat, che devono essere presi a livello internazionale, non da un unico governo».
C'è da sottolineare anche che le previsioni proposte nello studio possano essere anche paradossalmente ottimiste. Le future condizioni di salinità e le temperature del mare potrebbero essere ancora più estreme, tanto da risultare una minaccia ancora più gravosa rispetto a quanto descritto dallo studio. In questo caso, le popolazioni ittiche si spingerebbero ancora più a nord, con conseguenze che gli scienziati attuali non riescono ancora a quantificare.
«Si rischia di vedere l'Atlantico Settentrionale colmo di nuove specie aliene, provenienti dai tropici – chiariscono gli scienziati – Solo loro infatti potrebbero resistere a tali condizioni ambientali difficili da sopportare per le specie attualmente presenti».