Una storia di amicizia, tenerezza e lealtà. E anche di dolore. Ma soprattutto, la storia di una speranza incrollabile. Quella del cane Hachiko, l'Akita Inu diventato il simbolo dell’amore sconfinato dell’animale per il suo umano, di rivedere scendere dal treno il suo compagno di vita, morto improvvisamente per un ictus.
Hachiko lo attese per ore quella sera, inutilmente. E ha continuato ad aspettarlo alla stazione di Shibuya intorno le 17, orario di arrivo del treno, per 10 lunghi anni. Fino a quando non morì di filariosi all’età di 12 anni, l’8 marzo del 1935.
Non ricordarlo e celebrarne l'anniversario della morte è davvero impossibile. L’Akita Inu, che ha commosso tutto il mondo, grazie anche al film con Richard Gere, era nato a Odate, in Giappone, nel 1923 e il suo vero nome era Hachi, che significa otto, numero portafortuna nella cultura giapponese. Aveva solo due mesi quando venne adottato da Hidesaburo Ueno, agronomo e professore dell’Università Imperiale di Tokyo e, la relazione che si creò tra loro, fu di grande intensità.
Tanto che, appunto, il professore pendolare per esigenze di lavoro, veniva accompagnato tutte le mattine alla stazione di Shibuya dal cane, il quale poi, all’ora perfetta, lo andava anche a riprendere per fare ritorno a casa insieme. Il 21 maggio 1925, però, l’uomo non fece ritorno con il treno: venne stroncato da un ictus durante la lezione e morì improvvisamente.
Ma Hachiko non poteva saperlo e quindi puntuale arrivò all'appuntamento. Lo attese per ore quella sera senza vederlo arrivare. Ma per lui era inaccettabile rassegnarsi e giorno dopo giorno continuò a presentarsi e ad attenderlo. Mai in dieci lunghi anni, ci fu volta che Hachi non fosse davanti alla stazione all’ora prestabilita. Non ci fu freddo, pioggia o neve che gli impedì di sperare che il suo compagno umano tornasse. Ormai era diventato un riferimento per la tanta gente commossa davanti alla sua tristezza di non riuscire più a “riabbracciare” il suo compagno che lo aveva amato, accudito e gli aveva dato una famiglia.
La sua storia, con il passare del tempo, ha iniziato a diffondersi in tutto il Giappone e fu talmente amata che nel 1934, quando il cane era ancora in vita, gli venne dedicata una statua in bronzo, posizionata proprio nella stazione ferroviaria che lo rese celebre.
La notizia della sua morte, quell’8 marzo, finì su tutte le prime pagine dei giornali e quella data venne dichiarata un giorno di lutto nazionale. Ora il corpo del cane impagliato è esposto al Museo Nazionale di Natura e Scienza di Tokyo. Alcune ossa, però, pare che vennero sepolte accanto alla tomba del suo umano, nel cimitero di Aoyama. Per ricordar l’anniversario della sua morte, ogni anno, viene organizzata una cerimonia proprio davanti alla sua statua, per ricordare la sua infinita devozione nei confronti del suo pet mate.
Difficile non pensare a quanto gli animali abbiano da insegnarci su quello che noi definiamo amore. Forse non per niente, Victor Hugo scrisse «se guardi negli occhi il tuo cane, come puoi ancora dubitare che non abbia un’anima?». Non tutti, però purtroppo, lo pensano, basti guardare agli abbandoni e ai maltrattamenti che ancora oggi, gli animali subiscono quotidianamente.
L’Akita Inu, il cane nobile dei samurai e degli shogun giapponesi
Fiero, pacato e riservato, l’Akita Inu (Inu significa cane) è una razza giapponese, che deve il suo nome proprio alla regione da dove proviene, la prefettura di Akita. Fu il cane dei samurai e degli aristocratici giapponesi ed è diventato famoso in tutto il mondo grazie alla storia proprio di Hachiko.
Ma a parte le prove di amore incondizionato di cui questo cane è capace, in realtà questa razza così affascinante è anche complicata e non adatta a tutti, ma soltanto a persone disposte a convivere con un cane per niente giocherellone e affabile, ma poco socievole e discreto. L’Akita non gioca, non ubbidisce, non fa le feste, non abbaia e non ama il contatto.
L’Akita ama la vita tranquilla e proteggere i suoi umani di riferimento, facendo la guardia. Non sente alcuna necessità di competere o di accumulare oggetti per dimostrare il suo valore: l’Akita lo sa e non deve dimostrare niente a nessuno.
È un cane, le cui motivazioni, territoriale, protettiva, predatoria, possessiva e competitiva, sono davvero importanti da conoscere, perché se non gestite al meglio, possono trasformarsi in difficoltà.