Perché 19 cavalli sono morti improvvisamente e senza alcuna spiegazione scientifica? È la domanda che da due anni a questa parte si pone Sonny Richichi, presidente dell'associazione Italian Horse Protection (IHP), la prima in Italia ad essersi specializzata nella tutela degli equidi.
I cavalli deceduti in circostanze mai chiarite si trovavano proprio nella tenuta di IHP a Tignano, vicino a Volterra, in provincia di Pisa. «Si tratta per noi di una vicenda tragica sotto più punti di vista, non ultimo quello giudiziario», spiega Richichi a Kodami.
L'associazione, infatti, ha presentato istanza di opposizione alla richiesta di archiviazione dell'indagine sulla morte dei 19 cavalli avanzata dalla Procura di Pisa.
I fatti risalgono al 31 dicembre 2018, quando i cavalli salvati dall'associazione vengono trasferiti dal rifugio di Montaione, in provincia di Firenze, alla nuova sede di Tignano: «Quello che per noi sembrava un sogno, la donazione di una tenuta alla nostra associazione, presto si è trasformato in un incubo che ancora non è terminato», ricorda Richichi.
Appena tre giorni dopo il trasferimento, 8 cavalli si accasciano al suolo nel giro di pochi minuti. I veterinari non sono in grado di determinare le cause di quella anomala morte simultanea. Ma quell'episodio non è che l'inizio di una sequenza di morti inspiegabili che si ripeteranno a più riprese e in circostanze sempre diverse tra il 2019 e 2020, fino a quando l'IHP non deciderà di ritornare alla precedente sede di Montaione, ponendo fine al ciclo di morte.
«Tossicosi iperacuta è il responso dei medici veterinari – chiarisce il presidente di IHP – ma nonostante le autopsie e le analisi non si è mai capito da cosa sia stata originata questa grave intossicazione. È questo il problema che ci impedisce di fare archiviare il caso».
La IHP si è specializzata nella tutela degli equidi attraverso azioni di denunce, investigazioni su fenomeni come quello delle macellazioni clandestine, e in supporto delle Forze dell'ordine durante le operazioni di sequestro. Con loro è nato anche il primo centro di recupero per animali maltrattati, riconosciuto ufficialmente dal Ministero della Sanità.
«Purtroppo in Italia siamo rimasti molto indietro rispetto alla tutela dei cavalli, che continuano ad essere sfruttati in ogni ambito: dall'industria alimentare, fino all'intrattenimento. Siamo il paese delle carrozze trainate da cavalli in città, e quello in cui si macellano più cavalli in assoluto. Tutto questo è possibile perché non esistono tutele normative specifiche per gli equidi, e lo abbiamo sperimentato una volta in più proprio durante questo procedimento».
L'associazione ha infatti chiesto a più riprese la costituzione di un coordinamento scientifico per venire a capo della vicenda: «Anche gli esperti interpellati da noi privatamente non hanno saputo dare una spiegazione alle morti: dobbiamo prendere atto che ci troviamo davanti a un limite della medicina veterinaria per i cavalli. Ma un limite che dobbiamo superare».
In realtà, durante le indagini gli esperti della Procura una spiegazione l'hanno data e su questa si basa la richiesta di archiviazione, ammette Richichi: «La morte è stata attribuita a cause ambientali dovute al trasporto degli animali. Rifiutiamo questa spiegazione perché potrebbe essere vera solo per i primi 8 cavalli, non per i restanti 11 morti dopo mesi, e in qualche caso anni, dallo spostamento».
Per l'IHP la spiegazione alle morti invece potrebbe risiedere nel suolo di Volterra: «Abbiamo chiesto alla Procura di disporre carotaggi nelle zone dove sono morti i cavalli per controllare se sono presenti sostanze tossiche potenzialmente mortali per quel tipo di animali – rileva Richichi – Non è mai stata fatta l'analisi dei terreni a causa di un reciproco scarico di competenze: l'Arpat (Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana) si è sempre rifiutata dicendo che i veterinari non davano lista di sostanze da cercare, ma nei fatti nessuno si è mai mosso».
«La nostra richiesta di opposizione all'archiviazione – aggiunge il Presidente – si basa anche su questo: sulle falle che bbiamo registrato nella gestione di una vicenda che è senza precedenti in Italia e probabilmente nel mondo».
«Questo è avvenuto a causa di un cortocircuito culturale: ci avviciniamo a questi animali come se fossero strumenti – conclude Richichi – sono animali estremamente longevi e possono avere vecchiaia anche lunga, ma per le persone ad un certo punto diventano oggetti inservibili, non degne di accompagnamento durante la vecchiaia e la malattia, e forse neanche della giustizia dopo la morte».