"Le vite degli animali sono incarnate nella perdita e nello spreco di cibo". È il titolo di uno studio scientifico che certifica che nel mondo su circa 75 miliardi animali allevati a scopo alimentare, ben 18 miliardi non sono consumati e dunque le loro già misere esistenze non valgono "nemmeno un piatto" per gli esseri umani.
Già solo questo dato e il nome stesso dello studio fanno comprendere l'atrocità di quanto stiamo facendo agli altri esseri viventi con finalità prive di qualsiasi logica e che vanno anche a ledere la vita della nostra stessa specie sul pianeta. «Mentre l’importanza di ridurre le perdite e gli sprechi di carne è riconosciuta a causa del suo sostanziale impatto ambientale – scrivono i ricercatori – l’aspetto del benessere degli animali rimane in gran parte irrisolto. La sofferenza e la morte inflitte agli animali per produrre cibo che non verrà mai mangiato rimangono invisibili. Questo studio mira a colmare il divario tra la letteratura contabile sulle perdite e gli sprechi alimentari ("Food Loss and Waste", FLW) e le considerazioni sul benessere degli animali».
Gli autori dello studio sono Juliane Klaura, Gerard Breeman e Laura Scherer dell'Institute of Environmental Sciences (CML) di Leiden in Olanda. Il loro obiettivo è stato proprio, dati alla mano, stimare il numero di vite animali perse a causa non solo dell'alimentazione umana di per sé ma dello spreco di carne che ne deriva relativamente a sei principali specie.
I risultati mostrano che nel 2019 circa 18 miliardi di animali hanno perso la vita in funzione dell'alimentazione umana ma non diventando mai carne diretta al consumo. I dati sono stati raccolti analizzando la produzione relativa alla carne di suini, bovini, ovini, caprini, di pollo e di tacchino in 158 paesi, 7 aree regionali e su 5 fasi della catena di approvvigionamento.
I numeri che ne sono conseguiti, attraverso una formula che nello studio viene ampiamente spiegata, raccontano che «80,8 milioni di decessi totali si sono verificati tra le specie di cui 63,9 milioni (79,11%) erano polli, 8,1 milioni (10,0%) erano suini, 2,6 milioni (3,2%) erano bovini, 2,4 milioni (3,0%) pecore, 2,3 milioni (2,8%) erano capre e 1,5 milioni (1,9%) tacchini».
Dal punto di vista geografico, i paesi con il maggior numero di perdite di vite animali sono stati identificati anche quelli che sono primi nella perdita di vite umane. «Tre paesi in particolare, gli Stati Uniti, il Sud Africa e il Brasile rientrano anche nella top ten della perdita di vite umane pro capite: possono essere considerati punti caldi geografici della perdita di vite animali e di perdita di benessere in generale».
Osservando invece la distribuzione per aree regionali, l’Asia industrializzata è quella con il maggior numero di perdite di vite umane, ovvero il 19,2%, mentre l’Africa subsahariana è con il minor numero, ovvero l’8,5%. «Tuttavia, la quota dell’Asia industrializzata è distribuita sul 21,8% della popolazione considerata in questa analisi. In confronto a ciò, il gruppo di regioni con la più alta perdita di vite umane pro capite, Nord America e Oceania, ha una media di perdite e sprechi considerevolmente più elevata con 6,98 vite animali incarnate pro capite in 24,5 kg di perdite e sprechi di carne commestibile rispetto a soli 2,07 vite animali rappresentate da 7,71 kg di perdite e rifiuti di carne commestibile nell’Asia industrializzata».
I ricercatori hanno valutato la situazione anche in America Latina, Nord Africa e Europa che sono state identificate come regioni le cui quote di perdita di vite umane sono sproporzionatamente elevate rispetto alla quota di popolazione globale.
«Gli scenari rivelano che le vite animali sprecate e perse potrebbero essere ridotte di 7,9 miliardi se migliori efficienze fossero integrate, e di 4,2 o 8,8 miliardi se fosse implementato un obiettivo di sviluppo sostenibile, ottenendo una riduzione del 50% delle perdite e dei rifiuti rispettivamente a valle o nell’intera catena di approvvigionamento», concludono gli esperti proponendo anche delle proposte indicative di quali miglioramenti si potrebbero realmente mettere in atto.
Il "Food Loss and Waste", secondo la definizione data dalla FAO nel 1981 e riportata nello studio, può essere definito come «materiale commestibile sano destinato al consumo umano, che si presenta in qualsiasi punto della catena di approvvigionamento alimentare e che viene invece scartato, perso, degradato o consumato da parassiti». Circa un terzo del cibo prodotto a livello globale, secondo quanto hanno riportato i ricercatori, «viene perso o sprecato e il FLW ammonta a 1,3 miliardi di tonnellate all’anno per un valore di circa 940 miliardi di dollari».
«Dopotutto – chiosano gli esperti – indipendentemente dal fatto che ci si opponga o meno all’allevamento di animali come fonte di nutrimento umano, uccidere un animale che non serve a nulla è inutile e dispendioso e la necessità di affrontare il problema delle vite animali perse o sprecate è ulteriormente sottolineata da prove crescenti che suggeriscono che i consumatori sono in conflitto nel mangiare altri esseri viventi. L'atteggiamento e il comportamento nei confronti degli animali sono però spesso incoerenti, esemplificati dalla costruzione di relazioni amorevoli con gli animali domestici e dal considerarsi rispettosi degli animali, pur mantenendo contemporaneamente il consumo di carne e latticini come norma sociale».