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25 Giugno 2024
9:00

Sono un istruttore cinofilo e ti dico 5 cose da evitare nell’educazione del cane

Le persone commettono alcuni errori ricorrenti nel processo educativo dei loro cani, ad esempio sovreccitare i cuccioli o punirli. Ogni famiglia è a sé e ogni cane è unico, ma queste sono alcune delle cose che andrebbero in ogni caso evitate.

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Membro del comitato scientifico di Kodami
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In molti anni di lavoro con cani e famiglie ho notato alcuni errori piuttosto ricorrenti che le persone possono commettere nel processo educativo dei loro compagni canini. Premetto che ogni famiglia è a sé e ogni cane è unico, quindi queste considerazioni hanno un carattere generale e richiedono poi di essere adattate al contesto e alle caratteristiche delle persone e dei cani.

Sono ancora comuni, anche se fortunatamente sempre meno, alcune pratiche che possono essere controproducenti e dannose per un corretto sviluppo del nostro cane, soprattutto da un punto di vista relazionale e comportamentale. Come ad esempio pensare che educare sia uguale a punire, specialmente quando si parla di cani in età evolutiva (dalla prima infanzia al termine dell’adolescenza). Per molte persone dunque l’educazione è una lunga sequela di punizioni volte a correggere un comportamento o un atteggiamento, e quasi mai si pensa a sviluppare i comportamenti desiderati.

Educare significa proprio sviluppare, non inibire. Semmai guidare verso qualcosa, non frenare sempre e comunque. A tal proposito errori comuni possono essere quelli legati alle punizioni inferte ai piccoli quando sporcano in casa, credendo che così il cucciolo capirà che la nostra intenzione era quella di insegnargli a sporcare fuori.

A parte tutte le ovvie considerazioni che si potrebbero fare sulle ragioni etologiche di un certo comportamento, ci sono anche quelle fisiologiche che dovremmo tenere presente in un individuo ancora così immaturo. Oppure esistono errori legati al nostro atteggiamento, per esempio uno è quello di sovreccitare continuamente il cucciolo nelle interazioni con gridolini, svolazzamenti di mani, stuzzicandolo per indurlo all’azione, magari per poi sgridarlo quando – a nostro modo di vedere – sta esagerando, essendosi fatto prendere dall’euforia che noi stessi abbiamo indotto in modo inappropriato.

Insomma, ci sono molte cose che passano in secondo piano, alle quali magari non siamo portati a dare la giusta attenzione mentre, nel contempo, ne enfatizziamo altre nel modo sbagliato, cose che possono essere rilevanti nel processo di sviluppo del nostro cane.

1. Le punizioni come strumento educativo

Ormai sappiamo bene quanto siano inefficaci le punizioni nel processo educativo, soprattutto a lungo termine. Ci sono moltissimi studi che lo dimostrano e l’esperienza di tanti professionisti del settore. Infatti se apparentemente una punizione (urla, botte, isolamento, eccetera) può sembrare aver sortito un certo effetto è opportuno considerare anche gli aspetti collaterali, come per esempio le emozioni negative suscitate, la perdita di fiducia da parte del cane, gli stati di ansia e stress generati dal nostro comportamento che, per lo più, non è compreso dal nostro compagno. E non perché lui non sia in grado di comprenderci – abbiamo lungamente parlato della spiccata intelligenza sociale dei cani e delle loro facoltà cognitive – ma in quanto prive di una qualsivoglia logica dal punto di vista di un cane, che dobbiamo ricordarlo, ha una prospettiva sul mondo ben diversa dalla nostra.

L’uso di violenza – nelle sue svariate forme – lederà la possibilità di instaurare una relazione profonda basata sul piacere di condividere le esperienze insieme, sulla fiducia e sull’intesa, promuovendo invece un rapporto basato sul conflitto, la violenza e le emozioni negative. Certo, ci sono persone che vogliono proprio questo, chissà poi perché? Forse per dar sfogo alle proprie frustrazioni o deliri di onnipotenza, o chissà cos’altro. Ebbene, qui invece cerchiamo di stimolare l’instaurarsi di una relazione di amicizia basata sulla forza dei legami affettivi, nient’altro. Invece di punire un comportamento che consideriamo errato, possiamo concentrarci sul premiare il comportamento che noi riteniamo adeguato. Certo, saperlo fare è un altro paio di maniche, ecco perché spesso suggerisco il coinvolgimento di un educatore cinofilo preparato soprattutto se siamo totalmente inesperti.

2. Mancanza di coerenza

Molto spesso non si tiene conto che un giovane cane, proiettato in un mondo a lui sconosciuto, ha la necessità di comprendere come vivere in quel contesto, dovrà anche decifrare gli individui che lo circondano, sapere cosa accade nei vari momenti salienti della vita in comune, e via dicendo. Tutto questo non è un compito facile e richiede tempo. Naturalmente i cani, in quanto animali eminentemente sociali, hanno tutta una serie di dotazioni proprio per questi compiti, ma una mano gli va pur data, non credete?

Avere un comportamento coerente, ossia riconoscibile e prevedibile, aiuterà il cane a meglio adattarsi alla vita in famiglia, soprattutto se il tutto avverrà tenendo conto delle sue caratteristiche e dei suoi bisogni. Ecco che allora le “regole” dovranno essere riconoscibili e coerenti, assecondate da tutti i membri della famiglia. Potremmo per esempio decidere che dalla tavola, quando si mangia, non va dato del cibo al cane (su questo ci sarebbe molto da dire, ma per ora usiamo questa situazione solo allo scopo di fare un esempio) allora basterà che tutti quanti rispettino questo precetto. Il che significa anche non prestare attenzione al cane quando potrebbe fare delle richieste.

Generalmente se si è bravi fin da subito per questo non avremo praticamente mai bisogno nemmeno di pensare di correggere un comportamento inappropriato, proprio perché anche il cane si sarà adattato a questa ritualità. Ovviamente i bisogni del cane devono però essere assolti a-priori, anche i bisogni di ordine affiliativo. Alle volte infatti i momenti del pranzo o della cena sono gli unici in cui tutti i membri della famiglia sono riuniti e, ovviamente il cane, oltre che essere ingolosito dai profumi che provengono dalla tavola e non aver ancora sviluppato un buon autocontrollo, potrebbe sentirsi escluso da una rara attività di gruppo, e quindi cercare di partecipare, di intromettersi anche lui. Quando dico quindi “i bisogni del cane” non intendo solo quelli primari, come l’alimentazione in sé, ma anche quelli legati alla socialità e alla condivisione.

3. Mancanza di pazienza

Alle volte è chiaro che le persone non si rendano conto che l’apprendere cose nuove è un processo che richiede del tempo, e che ciò che per noi può essere scontato per un cane invece potrebbe non esserlo affatto. Troppo spesso vedo persone che sbraitano con il loro cane parole di cui lui ignora il significato e non ottenendo la “risposta” che loro si attendono non sanno fare altro che aumentare il volume della voce, o si mettono a scandire le medesime parole convinte che sia un problema di chiarezza.

Il cane, che spesso è molto più sensibile al linguaggio non verbale – inutile ribadire qui le ragioni di ciò – al tono della voce, al volume delle urla, che al significato in sé, che non conosce, sarà influenzato a livello emozionale da tutta questa inutile pantomima, e ancora una volta potrebbe essere vittima di stress e stati di ansia, e potrebbe essere più influenzato dal livello di eccitazione da noi mostrato che da ciò che nella nostra testa è chiaro e lampante.

Provate a pensare se una persona vi dicesse una parola in una lingua a voi sconosciuta, diciamo per fare un esempio in giapponese. Non è che se si mette a sbraitarla o scandirla ci aiuterà in qualche modo a comprendere cosa stia dicendo. Chissà poi perché pensiamo invece che un cane, che fa parte di una specie nella quale il linguaggio verbale astratto come il nostro nemmeno esiste, invece dovrebbe comprenderci. Il bello è che spesso ci riescono, malgrado tutto. Almeno loro, ci riescono.

La mancanza di pazienza e il non comprendere che un individuo possa avere delle difficoltà a comprendere quello che noi abbiamo nella nostra testa, è uno dei problemi più comuni tra quelli che incidono sul consolidarsi di una buona armonia con il nostri compagni a quattro zampe.

4. Trascurare l’importanza del gioco e dell’interazione sociale

Gli animali sociali si definiscono tali per tutta una serie di ragioni, uno dei problemi principali che minano il processo educativo e di sviluppo equilibrato dei cani oggi è proprio il pochissimo tempo condiviso. Non è una questione di mera “compagnia”, è una questione che ha a che fare con quello che si chiama allineamento. Forse ricordate il detto: “Chi va con lo zoppo impara a zoppicare”. È interessante, anche se qui posto in modo negativo, osservare che in questa frase si mette in rilievo la nostra natura, la nostra tendenza ad assimilare lo stile del nostro gruppo d’appartenenza, anche negli aspetti negativi.

Ma concentriamoci su quelli che invece possono essere positivi. L’allineamento con il proprio gruppo famigliare è qualcosa di naturale, e vale anche per i cani, ma ciò avviene soprattutto se il tempo condiviso è sufficiente. I cani non sono fatti da madre natura, o da madre zootecnia, per la solitudine, soprattutto nel periodo dell’infanzia, dove il processo educativo traccia le linee guida per l’adulto che sarà. Quindi l’interazione sociale, in particolare modo con il nucleo famigliare, fiorisce grazie al tempo condiviso, e lo stile relazionale che il cane sperimenterà sarà poi una traccia sulla quale lui si porrà nell’interazione con l’altro.

Molte delle proprie facoltà il cane le sviluppa nell’attività ludica, che oserei dire essere la base fondamentale per l’educazione e l’apprendimento. Ora, non mi dilungo qui sulla valenza del gioco, che non significa solo far inseguire in modo ossessivo una pallina al cane, mi limiterò a dire che lo sviluppo delle facoltà sociali, quindi l’intesa, la coordinazione, l’autocontrollo, la comunicazione, e molto altro, trovano nei vari giochi una perfetta e gradevole palestra. Variare le tipologie di giochi è anche un modo di raffinare la nostra capacità di comprendere il nostro cane, ma attenzione perché al contrario, cioè ossessionarsi su un’unica modalità di gioco potrebbe invece creare degli squilibri che poi il cane porterà in altri contesti, anche al di fuori della dimensione del gioco stesso per intenderci.

Inoltre il gioco ha un importante valore per quanto concerne l’appagamento, come in generale l’attività fisica, il “lavoro muscolare”, ma spesso si confonde questo con la stanchezza muscolare, l’affaticamento. Un errore che ho visto commettere spesso è legato proprio alla convinzione che sia lo stress fisico a rendere il nostro cane poi tranquillo. Non lo stress fisico ma l’appagamento rende il nostro cane sereno, e questo non corrisponde allo stress muscolare, che invece se non ben monitorato ha tutta una serie di controindicazioni. In linea di principio possiamo quindi considerare che: un cane appagato è un cane sereno, un cane sfinito è un cane sotto stress.

5. Non considerare le peculiarità individuali del cane nell’adeguare il processo educativo

Qui vorrei mettere il focus su un aspetto molto importante e spesso non considerato. Sappiamo benissimo, come più volte ribadito, che ogni cane è un unicum, è un soggetto, ma possiamo parimenti considerare alcune tendenze, o vocazioni, che delineano le varie tipologie di cani.

Per esempio: le razze. È importante tenerne conto perché non differiscono solo per la taglia, il colore del mantello e la lunghezza delle orecchie. Le reali differenze non hanno a che fare con l’aspetto, con le caratteristiche estetiche – benché siano queste che per lo più orientano le scelte delle persone – ma con gli orientamenti cognitivi enfatizzati dalla selezione artificiale zootecnica.  Quindi la differenza tra un Rottweiler e un Basset Hound – per fare un esempio – non risiede nell’aspetto, ma nel loro patrimonio motivazionale, in ciò di cui hanno bisogno e in ciò che è rilevante per l’uno e non per l’altro. Generalizzando possiamo dire che razze differenti “vedono” il mondo in modo differente. Va da sé che queste propensioni non possono essere ignorate, né tantomeno non contestualizzate nell’ambito di vita dei cani. Ma anche il processo di sviluppo educativo dovrà partire proprio da queste peculiarità per favorire un possibile equilibrio.

Non mi sto riferendo qui – come pensano molti – a questioni tecniche, cioè al “metodo” utilizzato, ma proprio al “cosa” si debba considerare importante. Per continuare nell’esempio, potremmo dire che la territorialità è molto più sviluppata nei Rottweiler che nei Basset Hound, e questo richiederà di bilanciare questa tendenza la quale può essere funzionale nella difesa della proprietà, e siamo tutti concordi su questo. Ma in un contesto famigliare, molto antropizzato, che richiede il contatto e l’interazione sociale frequente, una spiccata tendenza non educata alla difesa potrebbe rivelarsi un serio problema.

Ovviamente questo discorso va poi applicato non solo alla tipologia, o razza, del nostro cane, ma ancor più all’individuo.

Ecco che quindi il processo educativo non può essere troppo generalizzato, non ci sono ricette universali, ci sono però linee guida che vanno adeguate in modo flessibile. Ribadiamo che questo potrebbe non essere un facile processo per una persona inesperta soprattutto quando si ha a che fare con cani che non consentono un ampio margine di errore in questo delicato processo.

Quindi, in molti casi, l’errore che ho visto commettere maggiormente dalle persone è quello di essersi rivolte ad un professionista dell’educazione e istruzione del cane molto tardi, moltissimi problemi infatti si possono evitare, ma non sempre è facile correggerli una volta che si sono radicati, soprattutto perché le persone non hanno molto margine per cambiare il loro stile di vita e quello relazionale in favore di un problema del loro compagno canino. Prevenire è meglio che curare: è un fatto che dovremmo tener sempre più presente al giorno d’oggi e che ha anche a che fare con la scelta di prendere con noi un cane non solo per quanto concerne la razza o tipo.

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Luca Spennacchio
Istruttore cinofilo CZ
Ho iniziato come volontario in un canile all’età di 13 anni. Ho studiato i principi dell’approccio cognitivo zooantropologico nel 2002; sono docente presso diverse scuole di formazione e master universitari. Sono autore di diversi saggi.
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