video suggerito
video suggerito
23 Gennaio 2023
10:33

Come fanno alcune rane a sopravvivere al fungo responsabile dell’estinzione di molti anfibi

Un nuovo studio condotto su diverse specie di rane e di rospi spiega come alcune riescano ad affrontare l'infezione causata dal fungo Batrachochytrium dendrobatidis, responsabile dell'estinzione di molte specie di anfibi.

9 condivisioni
Immagine

Un nuovo studio condotto su diverse specie di rane e di rospi di tutto il mondo ha scoperto in che modo il noto fungo Batrachochytrium dendrobatidis, responsabile della scomparsa di molte popolazioni selvatiche di anfibi, induca risposte diverse nel sistema immunitario delle specie che riesce a colpire, dimostrando come per alcuni di questi animali sia possibile affrontare l'infezione, almeno temporaneamente. Tale scoperta è avvenuta grazie al lavoro di una equipe guidata da un ricercatore della Western Sydney University (WSU), Nicholas Wu, che ha appena pubblicato la notizia presso la rivista Functional Ecology.

L'obiettivo dello studio era quello di esaminare quella che viene ampiamente considerata come la peggiore malattia esistente in natura, la più devastante per la biodiversità. Il fungo B. dendrobatidis infatti ha contribuito all'estinzione localizzata di almeno 501 specie di anfibi, anche se non si conoscono perfettamente tutti i sintomi che colpiscono le specie infette.

«Utilizzando un approccio di dati meta-analitici» dichiarano però gli studiosi, rifacendosi ad una tecnica che combina i risultati di diversi analisi statistiche per calcolare un risultato complessivo, «lo studio ha rivelato che ci sono diversi punti in comune nei sintomi tra le specie di rane più imparentate, che forniscono un'idea più chiara del meccanismo della malattia».

Questi sintomi della malattia più gravi possono ovviamente essere utilizzati durante i progetti di conservazione per valutare come le specie che non sono state  ancora esposte possono invece rispondere con l'arrivo dell'infezione da fungo. Su questo, gli autori dell'articolo affermano«I risultati suggeriscono che se il carico di agenti patogeni è basso all'interno di una nuova specie colpita, l'ospite può sperimentare la presenza di ferite vistose alla pelle e cambiamenti nella risposta immunitaria, ma un elevato carico di agenti patogeni può causare cambiamenti nella riproduzione e nelle condizioni del corpo, capaci di indurre l'estinzione».

Studiando così un esemplare di rana malata che è possibile riscontrare in natura, bisognerebbe solo analizzarne il carico patogeno, per confrontare il range della sua sopravvivenza con la tabella proposta da Wu. Poi, sempre con gli stessi dati, con un grande risparmio di energie, finanziamenti e tempo, è possibile prevedere come potrebbe reagire la sua specie all'avvicinarsi della diffusione del fungo all'interno della popolazione, senza dover testarne le conseguenze a livello locale in laboratorio.

Immagine

Ovviamente il modo in cui le specie rispondono in natura alle malattie infettive è legato molto dai fattori ambientali presenti nel territorio come nella storia evolutiva della singola specie. Qualora infatti la specie avesse già dovuto affrontare il fungo in passato, con molta probabilità supererebbe il rischio di estinzione causato dal fungo. Inoltre le differenze insite in ciascun esemplare, come la condizione corporea e il tasso metabolico possono influenzare con una certa frequenza la sensibilità di una specie all'agente patogeno, tanto che gli scienziati sperano che alcune specie a rischio possano sopravvivere proprio grazie alla presenza di esemplari maggiormente resistenti al parassita.

«Comprendere dunque le somiglianze nella sensibilità dei tratti può aiutare a comprendere l'impatto della malattia e aiutare gli sforzi di gestione della fauna selvatica», ha commentato il dott. Wu, sperando che il suo studio possa essere utile per comprendere lo status di salute delle specie più colpite. L'obiettivo della ricerca alla fine si risolve a questo, capire quali sono le ragioni che spingono alcune specie a difendersi meglio nei confronti del fungo, per creare se non una cura almeno un vaccino e nuove strategie vincenti per le specie più vulnerabili.

Quali sono però i sintomi principali di questa malattia, che mette a rischio la biodiversità globale?

Immagine

La pericolosa pandemia che colpisce gli anfibi di tutto il mondo

La chitridiomicosi è una malattia provocata principalmente da due funghi chitridi: Batrachochytrium dendrobatidis e Batrachochytrium salamandrivorans. Entrambi i virus colpiscono la cute degli anfibi, che ricordiamo essere l'organo dedito al controllo dell'umidità e dell'ossigenazione per questi animali . I sintomi possono essere diversi e di diversa gravità, ma principalmente creano lesioni sulla superficie degli animali.

La presenza del fungo infatti può essere vista anche ad occhio nudo tramite arrossamenti, ispessimenti, erosioni, ulcerazioni ed emorragie della pelle. Nei casi più gravi, gli anfibi presentano un dimagrimento estremo, convulsioni, atassia (difficoltà nell'eseguire movimenti volontari), ma anche posture anomale e perdita del riflesso, come se fossero storditi. Per questa ragione sono state proposte e applicate severe misure di prevenzione in tutto il mondo. Per non diffondere la micosi in altri territori, i biologi che sono molto attivi sul campo per i progetti di cattura e di conservazione devono assolutamente disinfettare tutti gli strumenti e gli stivali che hanno usato in acqua.

L’origine del patogeno è tuttora incerta, ma esistono fortunatamente due teorie: la prima sostiene che i mutamenti climatici legati al surriscaldamento globale abbiano reso un fungo decompositore in un temibile parassita, mentre la seconda teoria vuole che il fungo, originariamente confinato in Africa, sia stato diffuso nel resto del mondo a causa del commercio mondiale degli anfibi.

Bisogna infatti ricorda che a sostegno della seconda teoria c’è l’isolamento del fungo B. dendrobatidis su molti esemplari di xenopo liscio (Xenopus laevis) che risalgono al 1938. Questi esemplari erano stati conservati nei musei dopo essere stati utilizzati per decenni all'interno dei laboratori di mezzo mondo, per gli studi di biologia evolutiva dello sviluppo.

La pandemia che nel corso del Novecento ha sterminato un enorme numero di anfibi sarebbe così inizialmente scoppiata grazie a qualche esemplare che era rimasto contagiato nei laboratori, per poi riuscire a scappare in natura. Se ciò fosse vero la ricerca avrebbe sulle spalle una grossa colpa da digerire. Per fortuna però la scienza va avanti e articoli come quelli di Nicholas Wu ci permettono di sperare che la guerra contro il patogeno non sia ancora finita e che alcuni degli stessi anfibi si stanno adattando all'aggressività del fungo, per quanto i progressi non li rendono immuni alla malattia e sono ancora molte le popolazioni a rischio di svanire.

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
Sfondo autopromo
Segui Kodami sui canali social
api url views